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{"id":30,"date":"2017-09-03T11:22:48","date_gmt":"2017-09-03T09:22:48","guid":{"rendered":"https:\/\/www.piediluco.info\/?page_id=30"},"modified":"2017-11-21T14:20:04","modified_gmt":"2017-11-21T13:20:04","slug":"la-pesca-tradizionale","status":"publish","type":"page","link":"https:\/\/www.piediluco.info\/la-pesca-tradizionale\/","title":{"rendered":"La Pesca Tradizionale"},"content":{"rendered":"

La pesca tradizionale<\/p>\n

Metodi tradizionali di pesca<\/p>\n

Nicoletta Uguccioni, “Piediluco e il suo lago”, Collana ‘Atlante Linguistico dei Laghi Italiani’ (ALLI), Univ. di Perugia; ed. Amm. Prov. Terni, 1985. pp. 39-52 Le moderne reti da pesca, assai limitate nella tipologia (reti da posta, tramagli, bertovelli e cogolli di diversa grandezza), realizzate in nylon e prodotte su scala industriale, hanno finito per prendere il posto, anche nel lago di Piediluco, degli strumenti di pesca tradizionali, ancora in uso intorno agli anni \u2018940-\u2019950.<\/p>\n

Questi ultimi si contraddistinguevano per la loro variet\u00e0 e soprattutto per la specificit\u00e0 delle funzioni che dovevano svolgere. Mentre oggi un moderno cogollo (cucullu) o una rete da posta (ret\u00e9lla)permettono di catturare qualsiasi specie di pesce, questo non avveniva in passato: i pescatori, esperti conoscitori delle caratteristiche del lago e dei suoi fondali, dei pesci e dei loro cicli riproduttivi nonch\u00e9 delle prerogative della flora acquatica e delle zone lacustri predilette dalla fauna ittica nelle diverse stagioni, avevano costruito reti ed ideato sistemi di pesca adatti alla cattura delle differenti specie di pesci che popolano il lago.<\/p>\n

Prima che le recenti semine di alcuni esemplari di fauna ittica quali la carpa (la c\u00e0rpia), il persico reale [(lu sarmirinu) i pescatori di Piediluco chiamano il persico reale sarmirinu da quando, nel 1927, in seguito ad una operazione di ripopolamento, credettero che fosse stato immesso il salmerino. Chiarito l\u2019equivoco, tale nome rimase comunque ad indicare il Perca Fluviatilis L.], il persico sole (lu perzicacciu), il coregone (lu curic\u00f3ne), l\u2019alborella (l\u2019arbor\u00e8lla) e, dopo l\u2019immissione delle acque del Nera, la trota (la tr\u00f2tta) determinassero nelle acque del lago quello che gli anziani pescatori definiscono un miscujjo de p\u00e9sce (mescolanza di pesce), gli esemplari indigeni presenti nel lago di Piediluco erano esclusivamente tinche (le t\u00e9nche), lucci (li lucci), anguille (le nguille), cavedani (li squali), scardole (le sc\u00e0rdaje) e rovelle (Rutilus rubilio Bp., specie quest\u2019ultima ormai estinta), chiamate localmente le rosci\u00f2le.[Il Rutilus rubilio Bp., specie ittica scomparsa anche dalle acque del Trasimeno, era chiamata dialettalmente, nel lago di Trasimeno, la tasca o laschina; con il termine tasca (usato in senso collettivo) a Piediluco si indica invece un insieme di pesci di varie specie, di piccole dimensioni e di scarso valore.] Alla cattura di queste ultime specie di pesci erano quindi finalizzate le operazioni di pesca e la realizzazione di reti e strumenti tradizionali, frutto di una esperienza tramandata nei secoli di padre in figlio. Le reti, prima in canapa (c\u00e0nepa o accia), pi\u00f9 recentemente in cotone, venivano costruite artigianalmente dal pescatore il quale veniva spesso aiutato in questa fase dalle donne della sua famiglia.<\/p>\n

Dopo aver confezionato le matasse di filo ritorto per mezzo de lu rinaspu (aspo), munite di un piccolo modano di legno (la t\u00e8lla), le donne attendevano all\u2019operazione di f\u00e0 le majje, di interessere cio\u00e8 il reticolato delle maglie della rete. Queste ultime erano di diversa grandezza a seconda del tipo di pesce cui ogni rete era destinata. Una volta pronte le varie p\u00e8zze de r\u00e9te, iniziava il vero e proprio lavoro di armatura (arm\u00e0 o mont\u00e0 le r\u00e9te), di competenza del pescatore il quale collegava le pezze fra loro per mezzo di un ago (acu) di legno. Il filo di canapa o di cotone che serviva a tale operazione era trattenuto nell\u2019acu, dalla curuna e dalla con\u00f2cchia che ne regolavano lo scorrimento.<\/p>\n

Talvolta si ricorreva ad un semplice \u017c\u017cippu (bastoncino di legno appuntito), soprattutto quando si trattava di rammendare (arconci\u00e0) una rete che si fosse strappata (sgarrata). Le subbici della rete (corde di armamento) erano costituite da una serie di fili di canapa intrecciati. Al fine di realizzare una subbice resistente si ricorreva ad un singolare strumento denominato lu trillur\u00e9llucostituito da una piccola ruota di ferro (lu volanu) che a mano veniva fatto girare su di un perno elicoidale. \u00abAntro che-ccalli ll\u00e0 le mano!\u00bb commentano gli anziani pescatori ricordando la faticosa operazione. Come galleggianti per permettere alla rete di rimanere a galla (ngallata) si usavano li \u017c\u017cughiri (sugheri) mentre l\u2019estremit\u00e0 inferiore di questa (lu s\u00f3ttu) era appesantita da le piumme (piombi).<\/p>\n

Non tutti i pescatori erano in grado di arm\u00e0 le r\u00e9te co le piumme per cui si rivolgevano ai pi\u00f9 esperti fra loro. Piumme e piummini di diversa grandezza venivano acquistati da lu stagninu (stagnaio) del paese. Prima di immergere una rete appena confezionata in acqua, i pescatori provvedevano a passarle la t\u00e9nta, a cospargerla cio\u00e8 con una mistura ricavata mediante particolari procedimenti, dalla corteccia (la sc\u00f2rza) di abete, per creare attorno alla canapa uno strato protettivo che ne limitasse la putrefazione (pe nun falla nfraci\u00e0). Durante il loro uso, le reti richiedevano una continua ed attenta manutenzione.<\/p>\n

Soprattutto le ret\u00e9lle (reti da posta fissa) che rimanevano molte ore in acqua, dovevano essere arpulite (ripulite) dalle incrostazioni di fango (lu l\u00f3tu), da li pall\u00f3cchi de robbaccia (impiastri melmosi) o dalla patina vischiosa prodotta dalle alghe (lu scacarciu). Le reti e le attrezzature sussidiarie alle varie operazioni di pesca di propriet\u00e0 di un pescatore venivano denominate nel loro insieme l\u2019attr\u00e9zzi piccoli in contrapposizione all\u2019arte gr\u00f2ssa [sciabica (ossia la rete a strascico per piccole profondit\u00e0 costituita da due ali e un sacco a maglie diverse, vedi avanti, ndr)] che veniva di tanto in tanto presa in affitto per operazioni di pesca di pi\u00f9 ampie proporzioni.<\/p>\n

Accanto ai diversi tipi di reti destinati alla pesca costiera o in lago aperto, ogni pescatore aveva a sua disposizione (e portava quasi sempre con s\u00e9 in barca) una serie di strumenti fra cui la scartaccia,grossa cucchiaia di legno per sgottare l\u2019acqua entrata nella barca, lu farci\u00f3ne per liberare il fondale lacustre (lu funnu) dalle alghe (l\u2019\u00e8rba), lu surricchiu e lu firrittu, lunghi bastoni dalla lama a forma di roncola che servivano per tagliare la canna palustre (la cannuccia o cannucci\u00f2la) al fine di realizzare li curriduri, corridoi di acqua libera dalla vegetazione fra i canneti (li canniti) nei quali impiantare le reti.<\/p>\n

Non mancavano, nell\u2019attrezzatura del pescatore, nemmeno lu cu\u00eccchiu (retino con manico), la ngassar\u00e8lla (retino a maglie fittissime) e la graffiu, un uncino legato ad un filo per recuperare reti e palamiti in acqua. Svariati erano, come precedentemente detto, i tipi di reti o di attrezzi cui i pescatori nel corso dell\u2019anno ricorrevano per la cattura del pesce. Le ret\u00e9lle, reti da posta a maglia semplice che ancora oggi, sebbene ammodernate nei materiali costitutivi, vengono calate nelle acque del lago, vennero introdotte a Piediluco circa cinquanta anni or sono e usate principalmente per la pesca delle tinche. Prima ancora, larghissimo uso veniva fatto del tramaglio che era la r\u00e9te per eccellenza.<\/p>\n

Era formato da tre teli sovrapposti e cuciti insieme agli orli di cui il mediano (la camici\u00f2la) aveva maglie pi\u00f9 fitte(pi\u00f9-cc\u00e9che) rispetto ai teli esterni che erano pi\u00f9 chiari (avevano maglie pi\u00f9 rade). La camici\u00f2la, meno tesa delle pezze laterali, formava una specie di sacco (la sacc\u00f2ccia) nel quale rimaneva imprigionato il pesce che si imbatteva nel tramaglio. Nella confezione di tale rete il pescatore doveva essere molto accorto in quanto, se la camic\u00ec\u00f2la non era ben proporzionata, lu p\u00e9sce ardava arr\u00e9to perch\u00e9 la camici\u00f2la je fac\u00eca come um-muru (il pesce veniva respinto indietro perch\u00e9 la rete era troppo tesa).<\/p>\n

Molto praticata con tale tipo di rete era la p\u00e9sca co la p\u00e8rtica a scacci\u00e0 Essa era finalizzata principalmente alla cattura della tinca (la t\u00e9nca) e del luccio (lu lucciu), ma nel tramaglio potevano incappare anche anguille (nguillte) e cavedani (li squali). Nei pressi della costa dove l\u2019acqua raggiunge un\u2019altezza di tre-sei metri, il tramaglio veniva gettato nel lago e questo, tenuto a galla dagli \u017c\u017cughiri e teso da l\u00ec piummini, impediva il passaggio del pesce che i pescatori provvedevano ad indirizzare (scacci\u00e0) verso la rete percuotendo con lunghe pertiche le canne palustri o battendo i bastoni sul bordo della barca. In inverno la pesca a scacci\u00e0 veniva praticata anche in lago aperto (l\u00e0-mm\u00e9zzu lacu) circondando con il tramaglio alcuni cosp\u00f3ni d\u2019\u00e8rba (grossi ciuffi di vegetazione lacustre che fuoriescono dalla superficie del lago) presso i quali il pesce ama ripararsi (s\u2019arm\u00e9tte) nella brutta stagione.<\/p>\n

Quando si recuperava (s\u2019artir\u00e0a) una rete piena di pesce si diceva che era foderata de p\u00e9sce. Luccio e anguilla venivano pescati soprattutto con le palamiti che a Piediluco sono ancora oggi chiamate amate. Un\u2019amata era formata da un lungo filo di canapa (lu spacu ma\u00e9stru) che portava, a distanza regolare, una serie di funicelle (li spacucci o spachitti) da cui pendeva un amo (l\u2019amu) legato con un tipo di nodo detto lu n\u00f3du de l\u2019impiccatu. Le amate per la pesca del luccio si differenziavano da quelle adatte alle anguille in quanto li spachitti erano pi\u00f9 corti e fra questi e l\u2019amo si inseriva la caten\u00e9lla, un tratto di filo di rame ritorto(abbutinato) che rafforzava la funicella in modo tale che il luccio non riuscisse a strapparla (stuccalla) o a corroderla (rosicalla) con la possente dentatura (la s\u00e9ca). \u00abLu lucciu c\u2019ha lu bbaffu: co-ttutti li dd\u00e9nti che-pp\u00f2rta, stucca lu spacu, ci\u00e0 li dd\u00e9nti pizzuti!\u00bb commentano i pescatori (il luccio ha la mascella superiore ricca di denti affilatissimi con cui strappa facilmente il bracciolo delle palamiti). Le amate per la pesca delle anguille venivano completamente affocate, cio\u00e8 lasciate cadere sul fondo del lago: \u00abse bbutt\u00e0ono a-ttocc\u00e0-tt\u00e8rra, tanto la nguilla, se lu spachittu sta atterratu, magna lo st\u00e9sso\u00bb.<\/p>\n

Il pescatore, dopo aver fissato la parte iniziale (lu capu) della palamite ad un grosso \u017c\u017c\u00f9guru, iniziava a bbutt\u00e0 l\u2019amata, a distendere cio\u00e8 la palamite procedendo al tempo stesso con la barca (co la bbarca ntanto se camin\u00e0a). L\u2019amata era contenuta in una cassetta (la cass\u00e9tta de l\u2019amata) il cui bordo presentava una serie di ntacche (piccole incisioni) sulle quali erano infissi i numerosi ami pendenti dagli spachitti. Una simile disposizione impediva a questi ultimi di intrecciarsi (ntricasse) e permetteva ai pescatori di procedere ad una rapida annescatura (innescamento) degli ami. Come esca (annischime) per le anguille si usavano g\u00e0mmiri (gamberi), \u00e9rmi (vermi) o ombrichi (lombrichi) e l\u2019annescatura veniva effettuata a terra, prima di uscire con la barca. Per la pesca del luccio era invece indispensabile il ricorso ad un\u2019esca viva (n piscittu v\u00ecu), preferibilmente una rosci\u00f2la o una sc\u00e0rdafa, piccoli pesci di scarso valore questi ultimi, denominati indistintamente le pescet\u00e8lle.<\/p>\n

L\u2019annescatura doveva in questo caso avvenire sulla barca dove le esche vive venivano conservate in un\u2019apposita bbagnar\u00f2la (recipiente metallico). Il luccio infatti, pur essendo un pesce molto vorace (magnat\u00f3re), non ama la caccia, preferisce appostarsi ed attendere la preda: \u00ab\u00e8 m-p\u00e9sce p\u00f2co lavorat\u00f3re, sta s\u00e8mpre mpostatu, t\u00f2cca nvitallu; quanno je passa ll\u00e0-ddavanti m-piscittu, allora bb\u00e9cca!\u00bb notano i pescatori. A differenza delle amate per le anguille, quelle da luccio venivano distese poco distanti dalla riva, in mezzo alle alghe e alla vegetazione sommersa (l\u00e0-ll\u2019\u00e8rba) ove tale pesce ama ripararsi (s\u2019arm\u00e9tte). Con tale sistema spesso era possibile catturare (chiapp\u00e0) anche lucci di grosse proporzioni detti squadr\u00e8lle, mentre il luccio di poco peso \u00e8 chiamato m\u00e0nicu de ras\u00f3ju, rosichijju o sarachijju. I pescatori distinguono con nomi particolari le variet\u00e0 di anguille presenti nel lago: chiamano capocci\u00f3na o pesciar\u00f2la un tipo di anguilla dalla testa grossa e dalla bocca larga che f\u00e0 (vive, prolifica) nel braccio di Capul\u00f2zza, dove sta p\u00f2ca acqua e la tr\u00f2fia (lo sporco), pizzut\u00e8lla una variet\u00e0 di anguilla dal muso aguzzo, scorz\u00f3ne un altro tipo dalla testa grossa e piatta mentre l\u2019anguilla giovane, la ceca, \u00e8 detta racanittu.<\/p>\n

Nel caso in cui intendesse conservare vive le anguille (m\u00e9tte a-vvivo) per immetterle sul mercato soprattutto in occasione del Natale, il pescatore doveva usare molta cura nel togliere l\u2019amo dal palato del pesce, in caso contrario lo estraeva con forza e all\u2019anguilla je vin\u00eca su-ttuttu Lu bbu(d)\u00e9llu (uscivano fuori le interiora). La muscosit\u00e0 dell\u2019anguilla \u00e8 detta la c\u00f2zza e i pescatori notano che nel toccare tale pesce armane tutta c\u00f2zza su le mano. Anche le amate avevano bisogno di una attenta manutenzione e in genere dovevano essere rinnovate circa una volta al mese perch\u00e9, a causa della lunga permanenza in acqua, facilmente se tign\u00e0ono (si fradiciavano e si sgretolavano). Un altro attrezzo molto antico e da tempo caduto in disuso era lu mattucciu, usato esclusivamente per la pesca del luccio. Si trattava di un cilindro formato dall\u2019unione di quattro o cinque fusti discannell\u00f3ne (stiancia palustre, Typha latijolia L.) che prolifica lungo le rive del lago. Li scannelluni venivano tagliati con lu marracciu (sorta di roncola) in sezioni lunghe circa cm. 30, attorno ad essi si avvolgeva (s\u2019abbutin\u00e0a) un filo lungo alcuni metri al termine del quale pendeva un grosso amo di rame rinforzato, come nelle amate da luccio, dalla caten\u00e9lla che impediva agli acuminati denti del pesce de stucc\u00e0 lu spacu.<\/p>\n

I mattucci venivano gettati in lago aperto (l\u00e0 n f\u00f2ri) in numero di trenta, quaranta. Nel caso in cui il luccio, attratto dall\u2019esca viva che veniva appesa all\u2019amo, abboccava, il filo si svolgeva rapidamente(s\u2019abbutin\u00e0a), seguiva il pesce nel suo percorso per qualche metro senza offrire resistenza (je prest\u00e0a), finch\u00e9 l\u2019amo si conficcava nel palato del pesce. L\u2019amo, come quello dell\u2019amata, era liciu (liscio), senza ntacca (senza ancoretta), e a volte per favorire l\u2019innescamento poteva essere de st\u00f3rtu, cio\u00e8 con la punta rivolta lateralmente.<\/p>\n

Trattandosi di un attrezzo da pesca alquanto semplice da realizzare, anche i ragazzi spesso costruivano i loro mattucci e li deponevano nelle acque del lago a nuoto (a-nn\u00f3tu) [I vari stili del nuoto hanno assunto a Piediluco le seguenti denominazioni: nuotare a rana, not\u00e0 a-rran\u00f2cchia; nuotare sui fianco, not\u00e0 a la marinara; nuotare sul dorso, not\u00e0 a-pparte der\u00e9to; nuotare a stile libero, not\u00e0 a la spall\u00f3na,fare il morto, not\u00e0 a-mmurticinu. Quando qualcuno nuota sott\u2019acqua si dice che surina, in riferimento all\u2019abitudine di un uccello acquatico, lu t\u00f9ccaru (tuffetto, Podiceps ruficollis), che si tuffa in acqua e vi rimane a lungo immerso. \u00abSurina che-mme pare n t\u00f9ccaru\u00bb si dice a Piediluco di un abile nuotatore. Tuffarsi, fare un tuffo, si dice localmente f\u00e0 n-zurinu.]. Fra gli attr\u00e9zzi del pescatore non potevano mancare, infine, li sfissi e li mart\u00e9lli, tipi particolari di bertovello usati per la pesca costiera all\u2019interno degli appezzamenti di lago che ogni anno i pescatori prendevano in affitto dall\u2019Amministrazione comunale, dietro pagamento di un canone. Lu sfissu era finalizzato alla cattura della rosci\u00f2la, pesce presente in gran de quantit\u00e0 nelle acque del lago fino intorno agli anni \u201830 quando, in seguito alle modificazioni ambientali prodotte dall\u2019intervento dell\u2019uomo e all\u2019abbassamento di temperatura causato dall\u2019immissione delle acque del Nera, scomparve non trovando pi\u00f9 un habitat favorevole alla sua sopravvivenza.<\/p>\n

La rosci\u00f3la, pur non essendo una specie pregiata, era quanto mai utile perch\u00e9 costituiva una ottima esca per la cattura di altri pesci. Veniva infatti m\u00e9ssa a-vvivo all\u2019interno di un apposito vivaio a forma di anfora realizzato con \u00e9trica (vetrice) o con om\u00e9llu (orniello) intrecciati, denominato lu nassittu. La scomparsa della rosci\u00f2la (cos\u00ec chiamata a causa delle al\u00e9tte r\u00f3scie, le pinne pettorali e pelviche rossastre) ha determinato, inevitabilmente, la caduta in disuso degli attrezzi e dei sistemi di pesca finalizzati alla sua cattura e solo qualche anziano pescatore ricorda di aver fatto uso de li sfissi nella sua giovinezza. Lu sfissu era una rete ad imbuto lunga circa 70-80 cm., conteneva al suo interno un ritroso (la fijj\u00f2la) ed era tenuto aperto da tre c\u00e9rchi di diametro decrescente realizzati in legno di orniello. Il filato della rete era a-mmajje c\u00e9che (mm. 10). L\u2019imboccatura della rete era detta la bb\u00f3cca mentre la sezione finale a fondo cieco, all\u2019interno della quale veniva convogliato il pesce, era detto lu cuturizzu.<\/p>\n

Veniva usata in primavera, nel periodo in cui la rosci\u00f2la si avvicinava a riva per deporre le uova (bbutt\u00e0-ll\u2019\u00f2va) e non era raro che all\u2019interno dello sfissu finisse qualche anguilla che si fosse recata amagn\u00e0-il\u2019\u00f2va de le rosci\u00f2le. Per indicare il periodo della fregola non esiste un termine dialettale specifico: i pescatori ricorrono al verbo f\u00e0 (fare): \u00aba-pprimav\u00e8ra fanno le rosci\u00f2 le\u00bb oppure \u00able t\u00e9nche fanno f\u00f2rte su lu frassi\u00e9llu\u00bb(tipo di erba lacustre). Con il termine n\u00f3du si indica invece un gruppo di pesci in fregola: \u00abje dic\u00e9mo n\u00f3du perch\u00e9-ss\u2019amm\u00f9cchiono, se l\u00e9cono\u00bb (i pescatori notano che durante la fregola i pesci formano dei gruppi, si rincorrono circolarmente come se fossero legati). \u00abV\u00e0 m-p\u00f3, un n\u00f3du de curic\u00f9ni se-dd\u00f3 stanno!\u00bb \u00abL\u2019hai visto se-cche-n\u00f3du de t\u00e9nche?\u00bb \u00abAnnamo a-n\u00f3di!\u00bb (andiamo a pescare quel gruppo di pesci in fregola) sono espressioni tipiche e comunissime fra i pescatori di Piediluco. Particolare \u00e8 il modo in cui avviene la fregola del luccio: durante l\u2019atto riproduttivo, numerosi maschi riuniti intorno alla femmina si agitano (sm\u00f2ono) con rumore battendo la pinna caudale (la c\u00f3a) contro le alghe e provoca-no in superficie una serie di bollicine che i pescatori definiscono schiama. La presenza della schiama \u00e8 quindi un segnale inconfondibile della presenza di un n\u00f3du de lucci.<\/p>\n

Il tipo di vegetazione che i lucci prediligono per deporre le uova \u00e8 lu pilucaprinu (Potamogeton perfoliatus L.). Il periodo riproduttivo della tinca coincide invece con l\u2019avanzata primavera (maggio-giugno). Dopo il letargo invernale in cui riposano sui fondali (s\u2019arm\u00e9ttono), in primavera le tinche tornano ad essere attive e ricompaiono in superficie (sf\u00e0ngano e se ng\u00e0llano). I pescatori di Piediluco notano che le tinche del lago hanno un aspetto pi\u00f9 tocci\u00f3ttu, pi\u00f9 piazzatu, meno sfusolatu (pi\u00f9 massiccio, tozzo e meno affusolato) rispetto a quelle del Trasimeno. Distinguono pure con facilit\u00e0 la t\u00e9nca f\u00e9mmina da lu tenc\u00f3zzu maschiu perch\u00e9 quest\u2019ultimo presenta l\u2019al\u00e9tte de la trippa arruncinate (le pinne ventrali appuntite, quasi rostrate).<\/p>\n

Negli ultimi decenni la pesca alla tinca, da sempre molto attiva, viene effettuata per mezzo delle ret\u00e9lle (reti da posta), ma precedentemente tale pesce veniva catturato principalmente con lu mart\u00e9llu. Tale strumento di pesca era in tutto simile allo sfissu tranne nella misura del lato della maglia (mm. 20) e nelle dimensioni (era lungo circa un metro). Per tenere tesa la rete ad imbuto si ricorreva ad un bastone (na pertich\u00e9lla) detto asta della stessa lunghezza de lu mart\u00e9llu cui questo era collegato da alcuni spachi. L\u2019asta permetteva di recuperare (artir\u00e0) con facilit\u00e0 la rete in quanto bastava infilare un remo (lu rimu) nell\u2019intercapedine fra la rete e il bastone e sollevare il tutto. Lu mart\u00e9llu poteva essere usato a-ffunnu, cio\u00e8 calato sul fondale dopo essere stato appesantito da alcuni sassi (li sc\u00f3jji) oppure poteva pesc\u00e0 a-ggalla, venir depositato nei pressi della riva fra la vegetazione lacustre dove la tinca ama rifugiarsi, dopo aver preparato per la rete un apposito p\u00f3stu bb\u00e9llu pulitu (piccolo tratto libero dalle alghe). Pi\u00f9 complessa era l\u2019operazione de attur\u00e0 le furmi [le furmi \u00e8 variante arcaica, oggi sostituita da li form\u00f3ni o furmuni] cio\u00e8 chiudere con la rete lo sbocco di canali o torrenti che si gettano nel lago. Se lo sbocco (lu sbuccu) non era di dimensioni troppo grandi era sufficiente il ricorso a un semplice mart\u00e9llu cui venivano collegate due fratte (piccole palizzate) di cannucci\u00f2la (canna palustre) che fungevano da braccia di incanalamento (parat\u00f3jja) per indirizzare il pesce nella bb\u00f3cca del bertovello.<\/p>\n

Una fratta era formata dall\u2019unione di pi\u00f9 st\u00f2le (stuoie) che il pescatore realizzava intrecciando (nterzicanno) le canne co la sc\u00f2rza s\u00e9cca (parte esterna essicata) dello scannell\u00f3ne (stiancia palustre). \u00abLe fratte t\u00f2cca nterzicalle bb\u00e8ne se-nn\u00f2 se scappa lu p\u00e9sce!\u00bb raccomandava-no i pescatori nel momento della esecuzione delle stuoie. In corrispondenza di quei furmuni il cui punto di immissione nel lago presentava una certa ampiezza, si usava mettere invece fu martell\u00f3ne, grosso bertovello simile al moderno cogollo, costituito da due grandi ali di rete (l\u2019an\u017cibb\u00f3cca) che servivano a convogliare il pesce verso il centro dove si trovava la bb\u00f3cca del bertovello. Tale tipo di rete permetteva di catturare (chiapp\u00e0) una notevole quantit\u00e0 di pesce.<\/p>\n

Per m\u00e9tte a-vvivo le tinche catturate si ricorreva alla nass\u00f2tta, grossa cesta di vetrice, pi\u00f9 grossa de lu nassittu, munita di un coperchio (fu cop\u00e9rchiu) a forma di imbuto.<\/p>\n

La pesca con la fiocina<\/p>\n

Accanto a sistemi abbastanza elaborati come quelli fin qui illustrati, il pescatore poteva ricorrere in certi periodi a mezzi ben pi\u00f9 rudimentali di pesca i quali richiedevano tuttavia una notevole abilit\u00e0.<\/p>\n

Molto comune era il ricorso alla fiocina (la f\u00e9cina), soprattutto per la pesca del luccio e della tinca che in primavera sono soliti avvicinarsi alla riva. La f\u00e9cina presentava un lungo manico di legno ed un forchettone di ferro munito di cinque o sette rebbi (le c\u00f2rne). I pescatori riconoscono la difficolt\u00e0 di un buon uso della fiocina: \u00ab\u00e8ra um-mesti\u00e9re\u00bb dicono (richiedeva grande abilit\u00e0).<\/p>\n

Ad aprile-maggio, quando le t\u00e9nche se m\u00e9ttono a-ppijj\u00e0 lu s\u00f3le e st\u00f3nno a sfior\u00e0-ll\u2019acqua co lu gropp\u00f3ne (quando le tinche in cerca di calore sfiorano la superficie dell\u2019acqua con il dorso) il pescatore, a piedi, cercava di individuare l\u2019animale e con grande precisione lanciava la fiocina (fecin\u00e0a).<\/p>\n

[Un tipo di pesca proibita, ma alla quale a volte qualche pescatore ricorreva, consisteva nello scagliare di notte la fiocina contro qualche tinca, luccio o carpa dopo aver temporaneamente immobilizzato l\u2019animale puntandogli addosso un fascio di luce prodotto dalla scindil\u00e9na (lanterna ad acetilene): \u00abla primav\u00e8ra lu p\u00e9sce c\u00e9rca ann\u00e0 su la sp\u00f3nna, sull\u2019acqua calla; vanno pascolanno, per\u00f2 la scindil\u00e8na li f\u00e9rma e-jje se tir\u00e0a na fecinata\u00bb] Sistema altrettanto rudimentale era quello de pesc\u00e0 co le mano.<\/p>\n

Questo tipo di pesca si svolgeva l\u00e0-lle pa\u00f9li (nelle zone paludose dove l\u2019acqua \u00e8 bassa) nel periodo invernale quando il pesce sta quasi immobile in mezzo alla melma (la m\u00e9rma): \u00abs\u2019ann\u00e0a jj\u00f9 co le mano, quanno sint\u00eci lu p\u00e9sce, lu strisci\u00e0i piano piano s\u00e8nza strigne fino a -cche no j arri\u00e0i sull\u2019anghie, su fu puntu che-sse f\u00e0 agguant\u00e0\u00bb. (Si immergeva un braccio in acqua; quando il pesce era stato individuato, il pescatore lo accarezzava pian piano senza stringerlo fino ad arrivare alle branchie, punto questo che permette di agguantare con sicurezza il pesce).<\/p>\n

Le branchie vengono dette generalmente anghie o agne, quelle del luccio, pi\u00f9 grosse, sono chiamate invece li gg\u00e0ngani. Le squame del pesce sono dette le scame, la lisca \u00e8 la rischia.<\/p>\n

L’arte gr\u00f2ssa<\/p>\n

Prima che i pescatori di Piediluco, appartenenti a otto famiglie che si tramandavano di padre in figlio i segreti del mestiere, si associassero in cooperativa, ognuno di essi pescava per proprio conto ed esisteva fra loro una certa competitivit\u00e0.<\/p>\n

L\u2019unica occasione in cui si associavano era la pesca con l\u2019arte gr\u00f2ssa (sciabica) che prendevano in affitto dal Barone Franchetti, ricco proprietario del luogo che deteneva il diritto esclusivo di pesca con tale rete.<\/p>\n

L\u2019arte gr\u00f2ssa \u00e8 una rete a strascico costituita da due lunghi bracci e da una sezione finale a forma di sacco (lu saccu) nella quale si raccoglie il pesce. Ognuno dei due bracci di rete \u00e8 diviso in tre sezioni contraddistinte da nomi diversi (fu cam\u00f2ne, l\u2019ala, la fiancata) a seconda delle dimensioni delle maglie che da molto rade nella parte iniziale, si infittiscono sempre di pi\u00f9.<\/p>\n

Numerosi \u017c\u017c\u00f9ghiri mantenevano a galla la grande rete e, in corrispondenza della bb\u00f3cca del sacco, era situato un galleggiante di sughero di grosse dimensioni detto fu pappagallu che aveva la funzione di segnalare ai pescatori l\u2019esatta posizione della rete. All\u2019estremit\u00e0 dei bracci si trovavano due lunghe corde che servivano per bbutt\u00e0 (distendere) e artir\u00e0 (recuperare) la rete.<\/p>\n

La pesca a strascico (a strascin\u00e0) veniva effettuata in appositi tratti di lago denominati le tirate, acque libere dai canneti (dd \u00e8-ppelatu) o prive di vegetazione sommersa (acqua pulita) in modo che la rete, mentre strisciava sui fondale (nfancava), non incontrasse ostacoli (impicci). Nell\u2019arte gr\u00f2ssa finiva ogni tipo di pesce e in tal modo si potevano pescare anche i cavedani (li squali) i quali, considerati di scarso valore, non erano fatti oggetto di particolari tipi di pesca [Il cavedano \u00e8 detto anche smerd\u00f3ne perch\u00e9 quanno pi\u00f2e mt\u00ecgna la robbaccia de li sc\u00e0richi (quando piove i cavedani si radunano presso gli scarichi delle fogne)].<\/p>\n

Lu sarmirinu (persico reale) oltre che con la sciabica, veniva pescato con la bbilancia, rete da raccolta collegata a due pertiche incrociate le cui estremit\u00e0, unite ai quattro angoli della rete, ne assicuravano l\u2019apertura.<\/p>\n

Metereologia lacustre<\/p>\n

I pescatori di Piediluco (pidilucani), oltre ad essere attenti osservatori delle abitudini dei pesci, sono esperti conoscitori delle caratteristiche geomorfologiche del lago e degli agenti atmosferici favorevoli o meno alla pesca e alla navigazione.<\/p>\n

Preferiscono uscire in barca (scapp\u00e0 co la bbarca) quando il lago \u00e8 calmo (lu lacu \u00e8 na guidi\u00e9ra) e, in caso contrario, devono fare molta attenzione a li mannazzuni(grosse onde, cavalloni) che potrebbero arvurdic\u00e0 la bbarca (rovesciare l\u2019imbarcazione).<\/p>\n

Fra i venti che soffiano sul lago, la tramontana \u00e8 particolarmente sfavorevole alla pesca: \u00abCo sta tramontana dd\u00f3 j\u00e9mo? Scappa via lu p\u00e9sce da d\u00e9ntro la nass\u00f2tta!\u00bb solevano dire gli anziani pescatori per indicare che, quando soffia la tramontana tutto il pesce sparisce. Solo l\u2019anguilla si muove (la nguilla m\u00f2e) anche con il cattivo tempo (lu t\u00e9mpu catt\u00ecu) ed \u00e8 l\u2019unico pesce che si riesce a chiapp\u00e0d\u2019inverno. Un colpo di tramontana viene chiamato na strina de tramontana. Il vento che soffia da est \u00e8 lu strin\u00f3ne, quello di sud-ovest \u00e8 lu v\u00e9ntu mojjanu (cos\u00ec detto perch\u00e9 soffia dalla parte di Moggio), quello di sud-est \u00e8 lu scir\u00f3ccu (scirocco).<\/p>\n

Il punto pi\u00f9 ventilato del lago \u00e8 detto lu ncr\u00f3ciu. Quando il cielo \u00e8 sereno (sirinu), si dice: \u00abva m-p\u00f3 che-ssirinata!\u00bb mentre, quando compare l\u2019arcobaleno (arcubbal\u00e9nu), tipica \u00e8 l\u2019espressione: \u00abmannaggia a n can\u00e9stru de santi e lu m\u00e0nicu fusse l\u2019arcubbal\u00e9nu!\u00bb (mannaggia a un canestro di santi il cui manico \u00e8 l\u2019arcobaleno).<\/p>\n

Le barche<\/p>\n

Per quanto riguarda l\u2019imbarcazione usata per la pesca, quella dei pescatori di Piediluco presenta una struttura molto semplice i cui elementi costitutivi sono ridotte all\u2019essenziale.<\/p>\n

Essa, realizzata in legno d\u2019abete (abb\u00e9tu) e lunga m. 4, \u00e8 di forma quadrangolare. La presenza del fondo piatto (lu funnu piattu) rialzato alle estremit\u00e0 mediante due tavole leggermente inclinate chiamate li bbiancuni, fa pensare che tale tipo di barca non sia originaria di un lago dalle acque profonde come quello di Piediluco, ma che vi sia stata importata in tempi lontani da un altro ambiente, probabilmente dalla conca reatina.<\/p>\n

La prua (la punda) e la poppa (ggi\u00f9-dda pi\u00e9di), che misurano cm. 60, rispetto alla parte centrale della barca (cm. 80) vanno a restr\u00e9gne (a restringere) e terminano con due piccole sporgenze(l\u2019app\u00f3ggi) usati per appoggiare il remo durante determinate manovre di remeggio. Le fiancate della barca sono dette le c\u00f2ste e la giunzione fra queste ultime e le tavole del fondo \u00e8 ottenuta per mezzo de le c\u00f2vre, supporti di legno di ulivo a forma di angolo.<\/p>\n

Gli scalmi (li scarmi) sono attualmente due, ma i pescatori ricordano che anticamente c\u2019era un solo scarmu. Addirittura alcune barche ne erano prive e lo stroppo (anello che tiene unito il remo allo scalmo), detto la r\u00f2ccia e realizzato con vimini (licame) o vetrice (\u00e9trica), veniva infilato in un foro (fu bbucu) praticato lungo una fiancata in vicinanza della prua. Il remo (lu rimu) \u00e8 costituito da una lunga asta (circa cm. 150) detta lu m\u00e0nicu e da una pala (l\u2019ala).<\/p>\n

Una caten\u00e9lla (piccola catena) e un rocch\u00e9ttu (lucchetto) munito di chiave (la j\u00e0e) posti sulla prua permettevano di ormeggiare l\u2019imbarcazione che veniva rimessa (arm\u00e9ssa) in apposite cappanne de cannucci\u00f2la. \u00abCamina!\u00bb (avanza!) \u00abTratti\u00e9tte!\u00bb (fermati!) \u00abSocc\u00f2ssa!\u00bb (gira la barca verso destra!) \u00abPijja acqua!\u00bb (gira verso sinistra!) \u00abR\u00f2ccia!\u00bb (rema!) \u00abM\u00e9na!\u00bb (fai leva con il remo sulla poppa per dare la direzione alla barca!) \u00abT\u00e9nte!\u00bb (scosta la barca dalle reti!) sono le tipiche espressioni di incitamento che i pescatori si scambiano per indirizzare le manovre di navigazione e di remeggio.<\/p>\n

[Tuttora \u00e8 comune il remeggio della barca senza usare affatto scalmo, ossia usando un solo remo a mo\u2019 di pagaia, analogamente alla tecnica utilizzata per la canoa olimpica singola; tale modo viene detto \u2018rem\u00e0 a la pescatora\u2019.<\/p>\n

Il vogatore siede sulla parte posteriore della barca, tipicamente sul lato destro, e proprio sul solo lato di dritta effettua le pagaiate: si dice che m\u00e9na nella fase iniziale della pagaiata, allorch\u00e9 la spinta procede diritta parallelamente all\u2019asse della barca con la pala in giacitura ortogonale; mentre si dice che socc\u00f2ssa nella fase terminale allorch\u00e9 appoggiando il manico al bordo ruota la direzione di spinta verso l\u2019esterno al fine di compensare la deriva in senso antiorario della barca, ndr] Ad un pescatore che non sia troppo abile nel remare si dice scherzosa-mente: \u00abnon-zi-bb\u00f3nu a-rrim\u00e0, me pari de Bbonacquisto!\u00bb (non sai remare, sembra che tu provenga da Bonacquisto [villaggio di montagna sulle alture mediorientali dell\u2019enclave del lago, ndr].<\/p>\n

Di un pescatore particolarmente laborioso si dice invece che v\u00f2le arvurdic\u00e0 lu lacu (vorrebbe rovesciare il lago).<\/p>\n

La caccia lacustre<\/p>\n

Non solo la pesca, ma anche la caccia agli uccelli acquatici era molto praticata a Piediluco. Non di rado gli stessi pescatori erano anche abili cacciatori: \u00ab\u00f3jji \u00e8 annata bb\u00e8ne, bb\u00f3lle la pigna!\u00bb si diceva al ritorno dalla caccia se erano stati uccisi (ccisi) molti uccelli (la caccia \u00e8 andata bene, oggi bolle la pentola perch\u00e9 potremo usare gli uccelli per fare il brodo).<\/p>\n

Armati di schi\u00f3ppu (fucile) e forniti di c\u00e0riche (cartucce), i cacciatori raggiungevano le p\u00f2ste (appostamenti) dove attendevano il passaggio (fu passu) degli uccelli al riparo sotto un cappannu (capanna) senza scendere dalla barca. \u00abHo nt\u00e9so na fuca!\u00bb diceva un cacciatore al compagno quando avvertiva l\u2019avvicinarsi di uno stormo di uccelli affinch\u00e9 si preparasse a sparare (tir\u00e0).<\/p>\n

Gli uccelli acquatici sono chiamati a Piediluco animali a differenza di tutti gli altri tipi di uccello (es. passero, tordo, ecc.) che sono denominati li c\u00e9lli (o cillitti): un brancu d\u2019animali \u00e8 uno stormo di uccelli acquatici.<\/p>\n

I cacciatori piedilucani chiamano indistintamente tutti gli uccelli acquatici di grosse dimensioni li maschi, mentre gli animali pi\u00f9 piccoli vengono indicati ciascuno con il proprio nome, generalmente al femminile. Il nido \u00e8 detto lu n\u00ecu, una covata di uccelli, na co\u00e0ta o ni\u00e0ta e l\u2019uccello che ha appena messo le piume (li spuntuni) e si appresta a lasciare il nido \u00e8 detto volaturu. Le piume sono le p\u00e9nne e le ali sono chiamate localmente le sc\u00e9lle.<\/p>\n

Presso il lago di Piediluco esiste una fauna avicola molto ricca per le numerose specie presenti. Tra gli animali oggetto di caccia quelli pi\u00f9 apprezzati sono gli Anatidi. Fra di essi i cacciatori distinguono le anatre che si tuffano nelle acque del lago per cibarsi delle erbe lacustri e quelle che rimangono sempre in superficie.<\/p>\n

Del primo gruppo fanno parte la mazzaruta (moriglione) e lu pijjut\u00ecjju o pijjutillu (moretta tabaccata). Fra le anatre di superficie le pi\u00f9 note sono lu jermanu (germano reale), lu cirvinu (canapiglia), la marzar\u00f2la o marzajj\u00f2la (marzarola), lu cucchiar\u00f3ne (mestolone), la scrocchiar\u00e8lla (alzavola) e lu ciufilante (fischione) cos\u00ec detto perch\u00e9 ci\u00f9fila, emette cio\u00e8 un particolare sibilo.<\/p>\n

Anche il piviere (lu pivi\u00e9re) emette un verso simile. Numerosi sono anche gli appartenenti alla famiglia degli Svassi (specie attualmente protette, ndr) fra cui ricordiamo lu t\u00f9ccaru (tuffetto) e fu su\u00e0r\u017cu (svasso grande e piccolo). Tutti gli svassi sono tuffatori velocissimi, si immergono con rapidit\u00e0 nell\u2019acqua (sur\u00ecnono) per nutrirsi di piccoli invertebrati. In genere essi nidificano fra la vegetazione palustre ancorando il nido ad essa. \u00abHa fatto lu n\u00ecu su la sc\u00e8rpa\u00bbnotano i cacciatori.<\/p>\n

La sc\u00e8rpa \u00e8 un agglomerato di canne e di alghe che galleggiano sulle acque. Anche la f\u00f3rga o f\u00f3loga (folaga) \u00e8 comune presso il lago di Piediluco [in effetti taluni cacciatori non cacciano la folaga, considerandola animale poco commestibile\u2026 \u00absi provi a cocela tte tocca pure a butt\u00e0 la p\u00e8ntola\u2026\u00bb, ndr]; fra i Rallidi, sono presenti la purcijj\u00f2la (porciglione), la pollastra (schinibilla) e la cuartana (gallinella d\u2019acqua).<\/p>\n

Quest\u2019ultima trova il suo habitat naturale fra i canneti, nelle zone acquitrinose (l\u2019acquistrinu). I piccoli della cuartana sono chiamati cuartanijji. Gli aironi, sia quello bianco che quello cinerino, sono chiamati indistintamente ga\u017c\u017c\u00e9tta, ma i cacciatori non ricordano di aver mai visto a Piediluco l\u2019airone rosso (ovviamente l\u2019airone \u00e8 oggi specie protetta; anche in virt\u00f9 di ci\u00f2 la sua presenza risulta sempre pi\u00f9 numerosa in tutti gli specchi lacustri residui del Lacus Velinus, Piediluco, Lungo, Ripasottile. ndr).<\/p>\n

Abitatori dei canneti sono lu capponacciu (tarabusino), uccello dalle zampe molto lunghe e dotato di ottime capacit\u00e0 mimetiche, lu pizzardu (beccaccino) e la rustich\u00e9lla (croccolone). Le zone acquitrinose sono preferite dai Caradridi fra i quali sono presenti la paonc\u00e8lla (pavoncella) e fa pizzard\u00e8lla (frullino). Uccello dalle caratteristiche abitudini di nidificazione \u00e8 lu pinnulinu (pendolino) il quale costruisce con foglie, muschio ed erba un nido a forma di piccolo fiasco) che appende ai rami di salice.<\/p>\n

Altre variet\u00e0 presenti a Piediluco sono infine l\u2019arc\u00e8a (piro-piro boschereccio), lu cardap\u00e9sce (martin pescatore), lu cannarell\u00f3ne (cannareccione) e lu maragn\u00f3ne (cormorano).<\/p>\n

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La pesca tradizionale Metodi tradizionali di pesca Nicoletta Uguccioni, “Piediluco e il suo lago”, Collana ‘Atlante Linguistico dei Laghi Italiani’ (ALLI), Univ. di Perugia; ed. Amm. Prov. Terni, 1985. pp. 39-52 Le moderne reti da pesca, assai limitate nella tipologia (reti da posta, tramagli, bertovelli e cogolli di diversa grandezza), realizzate in nylon e prodotte […]<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":0,"parent":0,"menu_order":0,"comment_status":"closed","ping_status":"closed","template":"","meta":[],"yoast_head":"\nLa Pesca Tradizionale - Pro Loco Piediluco<\/title>\n<meta name=\"robots\" content=\"index, follow, max-snippet:-1, max-image-preview:large, max-video-preview:-1\" \/>\n<link rel=\"canonical\" href=\"https:\/\/www.piediluco.info\/la-pesca-tradizionale\/\" \/>\n<meta property=\"og:locale\" content=\"it_IT\" \/>\n<meta property=\"og:type\" content=\"article\" \/>\n<meta property=\"og:title\" content=\"La Pesca Tradizionale - Pro Loco Piediluco\" \/>\n<meta property=\"og:description\" content=\"La pesca tradizionale Metodi tradizionali di pesca Nicoletta Uguccioni, “Piediluco e il suo lago”, Collana ‘Atlante Linguistico dei Laghi Italiani’ (ALLI), Univ. di Perugia; ed. 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