Lucus Velinus

Fondazione storica e fondazione mitica del Lacus Velinus
a cura di Peter De Cupis

carot piediluco

Premessa

Parleremo in questo breve articolo delle questioni storiche e culturali relative alla bonifica del preistorico Lacus Velinus avviata da parte dei Romani, che ha profondamente trasmutato la geografia del suo bacino, riducendo l’invaso a limitati residui, lasciando così, fatta eccezione per sporadiche aree alluvionali, all’antropizzazione agricola di larghi territori; a tale riguardo, useremo il termine di ‘Conca Velina’ al fine di specificare l’intero bacino dell’antico lago, conglobando nel medesimo toponimo sia l’attuale ‘Valle Santa Reatina’ sia l’enclave del lago di Piediluco, due entità geografiche, e quindi ‘culturali’, inscindibili, che solo in tempi recenti sono state sconsideratamente separate dal punto di vista amministrativo ad opera della creazione artificiale della Provincia di Rieti da parte di Mussolini, il quale cannibalizzò un pezzo d’Umbria (la Valle Santa) per appiccicarlo alla Sabina teverina (storicamente polarizzata verso Roma).

1- L’avvocatura di Cicerone

Tra le fonti classiche circa la storiografia della bonifica del Lacus Velinus tramite l’implementazione del canale efflussivo alle Marmore, con relativa cascata giù nella valle del Nera, eminente risulta quella di Cicerone; questi riporta nei propri scritti di essere stato ingaggiato dalla cittadinanza di Rieti a discutere una causa contro la cittadinanza di Terni (Interamnia) circa la regolazione di tale efflusso; ovviamente, una fuoriuscita maggiore comportava, per i soprastanti reatini, una più estesa bonifica di terreni da destinarsi all’agricoltura, ma al contempo, per i sottostanti ternani, aggravati fenomeni di alluvione per i loro coltivi e borghi lungo le sponde del fiume Nera.

Tale contrasto di interessi generava ininterrotte liti tra le due cittadinanze; giusto a uno di questi episodi, e alla conseguente diatriba giuridico-legale, va a riferirsi la memoria di Cicerone.

Orbene Cicerone annota di essere stato ospitato, al fine di presenziare alle sedute processuali, nella splendida villa del suo amico Quinto d’Assio, posta in amenissima posizione sulle falde della conca Velina; a tale proposito, Cicerone scrive paragonando il luogo alla valle di Tempe, nella regione greca della Tessaglia.

2 – Che cosa c’entra Tempe con il Lacus Velinus?

A tale paragone ciceroniano è stato dagli studiosi di impostazione filologica attribuito un senso meramente ‘pittorico’, declassandolo a una sorta di vezzo stilistico atto a caratterizzare un’affinità di paesaggi e atmosfere tra due amene conche circondate da una corona di monti.

Di converso, alla luce di più recenti cognizioni storico-religiose della cultura di Roma Antica, possiamo ipotizzare che una siffatta similitudine Velinus-Tempe facesse risuonar nella mente d’un cives romanus del I secolo a.C. ben altri significati. Invero, sentendo parlare di “Valle di Tempe” il Romano andava ad associare, ripescandolo dal bagaglio della propria formazione culturale, il seguente racconto mitico di fondazione: nella notte dei tempi la Valle di Tempe non esisteva, ossia era tutta sommersa dalle acque; poi fu il Dio Poseìdon, Signore delle Acque, a squarciare la costa, sicché le acque precipitarono fuori e lasciarono affiorare le splendide terre della valle… Non vi sembra che tale mito ricordi paro paro la vicenda storica della bonifica della Conca Velina tramite lo sbancamento delle Marmore, che le principali fonti storiografiche attribuiscono all’opera del console M. Curio Dentato…

In definitiva, tale ‘paragone’ serviva a un processo di mitopoiesi dell’opera compiuta storicamente, quindi a una sorta di ‘sacralizzazione’; per di più, il dio romano che ha analoghe attribuzioni del dio greco Poseìdon è giusto Nettuno; e infatti sulle sponde del residuo Lacus Velinus, in corrispondenza più o meno dell’attuale Villa Bosco, sull’odierna costa nord-occidentale del lago di Piediluco, sorgeva un tempio dedicato a Nettuno; tant’è che col passare all’era cristiana, il tempio di Nettuno divenne chiesa di San Nicola (protettore dei naviganti), o San Nicolò; oggi, purtroppo, sia del tempio romano che della chiesa cristiana successivamente edificata, non restano consistenti vestigia archeologiche; di converso, è rimasta traccia toponomastica nella nomenclatura del ramo di Nord-Ovest del lago di Piediluco che lo mette in comunicazione col canale efflussore verso la cascata delle Marmore, detto per l’appunto ramo di San Nicolò.

Bibliografia

[1] W. Mazzilli, “La Giostra”, 1992, pp. 66-70. [2] A. Armeni, “Piediluco: Gemma dell’Umbria” [3] E. Duprè Tnesender, “Il Lago Velino”.

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