Storie di Piediluco

Piediluco: pilole e curiosità
a cura di Peter De Cupis

Brigitte Bardot, gorilla e paparazzi

L’episodio appartiene al periodo d’oro di Piediluco negli anni del boom, quando, agli albori degli anni ’60, l’unicità del paesaggio bastava a richiamare il turismo più elitario: in questo caso la divissima francese, la quale veniva a ritemprarsi dalle fatiche dei set di Cinecittà qui sui fiordi “alpini” del nostro lago, ad appena un ora d’auto (allora di agguati di multavelox ancora non si parlava…) dall’Urbe.

Insomma, la stella se stava in gran segreto a crogiolarsi bellamente al sole su una chaise-longue del Circolo Canottieri Piediluco, club, oggi come allora, molto esclusivo, la qual cosa le garantiva massime aspettative di riserbo e di protezione dalla ciurmaglia di paparazzi giornalisti ammiratori e mosconi assortiti che sempre e comunque l’assediava. Per soprammercato, era ovviamente protetta da una squadra di robusti gorilla, che piantonavano il Circolo, in particolare l’ingresso dalla Strada Nazionale.

Sennonché… Sennonché i paparazzi, i quali avevano ricevuto soffiata sui movimenti della diva, per tender l’agguato non scelsero la via di terra, ma quella dell’acqua. Di qui in poi esistono diverse ‘varianti mitiche’ dell’episodio storico, divergenti sul tipo di espediente escogitato dai paparazzi per portarsi a tiro d’obiettivo della diva (a quei tempi non c’erano zoom tanto potenti…), magari con la speranza di coglierne un atteggiamento significativo da scoccar un bel ‘beat’, ossia lo scatto con cui far lo ‘scoop’ (sentite un po’ il gergo dell’epoca…).

Una delle versioni più suggestive è che i paparazzi ‘corruppero’ un piedilucano, acché costui se li pigliasse sulla propria barca da pesca e, loro pure acconciati tali e quali a pescatori di lago, pigliassero a bordeggiar verso la sponda del Circolo Canottieri sul ramo di Ponticelli. E così, tanto ben immedesimati nel paesaggio lacustre, i paparazzi poterono portarsi a tiro di scatto della divina Brigitte; cominciarono a rubar qualche foto alla diva direttamente dalla barca, a tradimento, dissimulandosi sotto le movenze di pescatori all’opra, gli obiettivi delle macchine nascosti fra l’armi e bagagli da pesca, ma non s’accontentarono… azzardarono il colpo di mano! Il piano contava sull’effetto sorpresa, un’azione da Blietzkrieg: uno sbarco lampo per un click ravvicinato e poi immediatamente via…. in fuga sulla barca, prima che gli arcigni gorilla riuscissero solo a capacitarsi di ciò che stesse avvenendo!

Fu così che un paparazzo sotto mentite spoglie di pescatore sbarcò e quatto quatto s’appressò verso la sdraio della diva, sennonché i gorilla un po’ di cervello oltre ai muscoli lo tenevano, e i ‘traffici’ di quella barca da pesca che da lunga pezza stava lì a incrociar innanzi alla riva dovevano già da un bel pezzo messi sul ‘chi va là’: per farla breve, ecco lì che il paparazzo-pescatore che sul pontile del Circolo con la Leica sfoderata come un lupo si slancia verso la pecorella, l’ignara Brigitte, ma ecco pure il gorilla-can pastore intercettare la traiettoria del lupo, e strappargli dalle mani la Leica… un’occhiataccia severa che poi si muta in un ghigno sadico, e poi gli fa volar giù nell’acqua la Leica! “E cavolo!

Che ognuno adempi al proprio ruolo, ma senza strafare!! Il predatore e il protettore, il lupo e il can pastore… Insomma, can pastore, tu il mestiere per campare ce lo hai perché difendi la preda dagli agguati che io, lupo, le tendo… In buona sostanza son proprio io, il lupo, che faccio campare te, o can pastore! Tu hai bisogno dei miei agguati! E allora perché ti macchi di quest’empietà, di spuntarmi le zanne?! di privarmi dell’arma dei miei agguati, la preziosa Leica!?” Chissà se furono proprio questi i pensieri che in quell’attimo lamparono in testa al paparazzo, di sicuro questa fu la morale che poi i piedilucani trassero dalla conclusione della storia: fatto è che, tanto era stata improvvisa e fulminea la reazione del gorilla di Brigitte Bardot, buttar a lago dal pontile del Circolo Canottieri Piediluco la macchina fotografica del paparazzo, ancor più fulminea e improvvisa fu la contro-reazione del paparazzo, buttar a lago dal pontile del Circolo Canottieri Piediluco il gorilla tutto…

Vittorio Gassman salvato dalle acque

In gioventù Vittorio Gassman frequentava il lago assieme alla propria famiglia; infatti, suo padre fu l’Ingegnere, di origine tedesca, che progettò il tracciato dell’autostrada Rieti-Terminillo, ai tempi in cui Mussolini decise di creare sull’altissima montagna reatina una stazione sciistica di rango alpino; sicché la famiglia Gassman rimase conquistata dall’amenità dei paesaggi della Conca Velina e, ovviamente, si lasciò incantare dalla perla più bella, il lago di Piediluco.

Insomma il giovane Vittorio, futuro ‘mattatore’ del cinema e del teatro dell’Italia del dopoguerra, pigliarono a passar la villeggiatura al lago, divertendosi in particolare a praticar la pesca: fu così che una volta lui se ne stava a buttar la canna in uno dei seni del lago che a quei tempi era tutto ricoperto d’erba lacustre… una distesa di ninfee, nannuferi e altra vegetazione che avvolgeva completamente le acque d’una splendida coltre verde, sotto la quale s’annidava copiosa la fauna ittica, dalle trote ai lucci!

Vittorio, assieme alla sorella minore Paola, era accompagnato da ‘Cencio’, un giovinetto del posto, che gli faceva da barcaiolo-guida pescatoria. Sennonché, a un punto, Vittorio, forse ancora poco avvezzo a muoversi sulle piccole barchette di lago, soprattutto lui così di gamba lunga, nel tramenar con un pesce abboccato all’amo, forse un grosso luccio, si ritrovò a capitombolar giù in acqua! Come si sa, era un gran pezzo di fusto, il giovane Vittorio, un bell’atleta, di sicuro un ottimo nuotatore, per lo più di buona scuola sportiva, ma in quell’attimo, stava per andarsene a picco giù, annaspava annaspava e manco riusciva a tenersi a galla, era proprio lì lì per affogare, vuoi che fosse per via del repentino salto di temperatura del tuffo fra l’aria assolata e le acque fresche, vuoi che fosse per via del groviglio di erbe che evidentemente gli impacciava i movimenti…

E sì le erbe: i Piedilucani stavano sempre a sfottere villeggianti e cittadini che avevano il terrore di bagnarsi tra le pellicole erbose dei golfi: a loro, invece, veniva ben naturale nuotare in mezzo alle coltri di vegetazione, anzi forse sapevano nuotarvi meglio che nelle acque libere.

Insomma Cencio non ebbe esitazione e si buttò in acqua appresso al naufrago, ora così allo stremo che manco avrebbe avuto la forza d’afferrare un appiglio che gli fosse stato porto dalla barca; invece Cencio lo acchiappò e riuscì a trascinarlo verso riva, davvero una gran fatica, pure perché lui salvatore era tutt’altro che un cristone, soprattutto a petto del salvato…

I percorsi

La Storia La Mille Miglia, Brescia-Roma-Brescia, è stata la più grande corsa automobilistica su strada di tutti i tempi.

La corsa nacque nel 1927 dall’idea di un gruppo di giovani appassionati bresciani, concretizzandosi nell’ambito della temperie economica e culturale dell’Italia Fascista: una volata tutta d’un fiato verso l’Urbe Imperiale e ritorno!

Su strade ancora tutta polvere e fango, lo sfrecciare ai centottanta all’ora dei lucidissimi bolidi dei piloti professionisti (ossia chi veniva regolarmente pagato per correre dalle scuderie) e dei “piloti gentiluomini” (ossia, nobili e ricconi capaci di pagarsi da sé tutte le spese) rappresentava in pieno l’ambiguità di un regime in bilico tra retoriche suggestioni di modernità futurista-razionalista, ed economia arretrata dal privilegio e dal prepotere dei ceti dominanti, industriali e agrari. Campagne poverissime erano quelle attraversate dalla corsa, ove ancora dominava il latifondo dei grandi possidenti, come i baroni Fianchetti nell’enclave di Piediluco, o i Principi Potenziani nella Conca Reatina.

Campagne in cui la coeva motorizzazione di massa in corso negli Stati Uniti non sarebbe stata neppure lontanamente ipotizzabile. Lì, di là dell’Oceano, la Ford produceva, in migliaia di esemplari al giorno, le rudimentali ma efficientissime tipo T, il cui acquisto era alla portata di un qualsivoglia colono del Mid-West; invece, di qua dell’Oceano, la produzione dei grandi costruttori italicii, dalla Fiat all’Isotta Fraschini, dall’Alfa Romeo alla Lancia, rifletteva la sostanza autentica dello spirito oligarchico del Fascismo, limitandosi a pochi esemplari di modelli raffinatissimi, nell’estetica e nelle prestazioni, ma inarrivabilmente costosi; lì un benessere spartano ma diffuso, qui il sublime per i pochi eletti e il nulla per tantissimi negletti…

Insomma un popolo di negletti per i quali pure la bicicletta, anzi il velocipede, era a quei tempi un lusso, che costava diversi salari d’operaio messi in fila! Forse proprio in virtù di questa inarrivabilità del mezzo automobilistico, metafora dell’inarrivabilità della ricchezza e del potere, che la Mille Miglia entrò così tanto nell’immaginario di questo popolo di appiedati negletti; con il magnifico stupore di bimbi affascinati tutti si assiepavano ai bordi delle vie, appollaiati sui paracarri, magari coi vestiti buoni della festa, e stavano ore ed ore, pur fino a notte alta, ad attendere l’apparire del miracolo dei bolidi… passa la Mille Miglia… Nuvolari, Biondetti, Campari, Taruffi… i piloti apparivano al popolo dei paracarri come eroi sovrumani; certamente non era la stessa impressione che si provava di fronte all’altra grandissima giostra che correva le strade dell’Italia d’allora, il Giro, laddove i campioni ciclisti sfilavano sporchi, stracchi e accaldati come proletari allo sgobbo… no no, i ciclisti eran cristiani tali e quali a noialtri, invece i piloti erano dei! Tutto ciò ovviamente agli albori; poi, con la guerra e il dopoguerra, il popolo negletto perde finalmente un bel po’ d’innocenza, e per fortuna ci guadagna la libertà… però la Mille Miglia continuò, primavera dopo primavera, a passare sulle strade e ad affascinare, accompagnando quei tumultuosi anni, dalle ristrettezze della ricostruzione fino agli entusiasmi del boom economico.

Insomma, agli operai e ai contadini dell’Italia repubblicana, i bolidi della Mille Miglia non evocano più suggestioni sovrumane, ma sono solo l’immagine concreta di una modernità finalmente accessibile! E infatti, a mezzo degli anni ’50, comincia pure in Italia l’era della motorizzazione di massa, con la Fiat che mette in produzione la 600, l’auto che emanciperà una buona fetta di popolo dalle fatiche della pedagna.

Insomma, dopo che nello Stato, la democrazia subentra all’oligarchia pure sulle strade d’Italia, le quali vengono conquistate dal popolo delle utilitarie! E per l’aristocrazia dei bolidi della Mille Miglia fu la fine… Sull’ondata emotiva di un grave incidente accaduto durante l’edizione del 1958 (la Ferrari di De Portago, sparata sulla via della vittoria a pochissimi chilometri dal traguardo, per via dello scoppio di un pneumatico sbanda fuori via provocando molte vittime fra gli spettatori), il Ministero dei Trasporti ratificò a Codice un generalizzato divieto di svolgimento per le corse motoristiche su pubbliche vie; questo de facto decretò l’impossibilità organizzativa per gli anni venturi della Mille Miglia: invase dalla massa ‘plebea’, le strade d’Italia non potevano esser più terreno di aristocratico agone…

Sulla via della Mille Miglia

La corsa si svolgeva ogni primavera, in Maggio, e ogni anno il tracciato generale subiva delle variazioni; tipicamente, la ‘Conca Velina’, ossia il territorio tra le città di Rieti e Terni, veniva interessato durante l’andata, Brescia-Roma; per esempio, Rieti fu tappa intermedia di tratte l’Aquila-Roma, oppure Ascoli-Roma, oppure Leonessa-Roma, che convergevano verso l’Urbe attraverso la Salaria; mentre Terni capitò gli anni in cui l’Urbe venne raggiunta per la via Flaminia.

Inoltre venne più volte utilizzato l’itinerario che prima toccava Terni (per esempio provenendo da Spoleto attraverso la Somma), e poi, risalendo alle Marmore pigliava per Rieti e di lì infine a Roma per l’ultimo tratto di Salaria. In quest’ultimo caso, i bolidi della Mille Miglia, risalito il ciglione delle Marmore, venivano giusto a bordeggiare il lago di Piediluco, porta di accesso alla Conca Reatina.

A quei tempi, la strada nazionale Terni-Rieti, ossia l’attuale S.S. 79 Ternana, non disponeva della moderna variante che aggira il borgo, sicché la carovana delle autocorsa doveva giocoforza attraversare lo stretto lungolago dell’abitato di Piediluco. I Piedilucani cominciavano a sentire il rimbombo dei bolidi che si approssimavano da Marmore, sgommando e strepitando ai curvoni; terribile ovviamente era quello in corrispondenza del Porto (innanzi all’attuale osteria Teresa), ma soprattutto il tornante sotto Casa Lago, di fronte al Circolo Canottieri Piediluco.

Lì sovente accaddero incidenti, con i bolidi in fuorivia, magari giù per la costa del lago; ma di morti brutte pare non ce ne sia memoria. Talvolta poi (di sicuro in una qualche edizione del dopoguerra rispetto alla quale lo scrivente ha potuto raccogliere testimonianza orale diretta), Piediluco ebbe l’onore di essere utilizzato addirittura quale sosta, ossia come tappa di controllo cronometrico e rifornimento. Ciò forse accadde perché si voleva evitare, per ovvie ragioni di sicurezza di piloti e spettatori, transiti eccessivamente veloci attraverso la stretta via lungolago; o forse ciò accadde perché a quei tempi Piediluco era ancora una stazione climatica in auge, frequentata da un pubblico di villeggianti di alto rango, al quale, evidentemente, autorità e organizzatori avevano interesse a offrire uno spettacolo ben meglio godibile d’un passaggio fulmineo.

E così, nei pressi del campo sportivo di Ponticelli, sul lato di accesso al Borgo dalla direzione di Terni, veniva organizzata l’area di stazionamento, per la gioia del pubblico che poteva ammirare e rimirare piloti e macchine senza rischio di farsi venire il torcicollo…

La rievocazione

Oggi giorno, della Mille Miglia si corre una rievocazione storica, ossia una sfilata di automobili dell’epoca le quali, per simular un po’ d’agonismo, il percorso Brescia-Roma-Brescia, anziché correrlo in velocità (vince chi fa il tempo minimo), lo corrono in regolarità (vince chi, al centesimo di secondo spaccato, meglio approssima un tempo prestabilito).

Taluni sostengono che ‘sta rievocazione storica sia un po’ farsesca, con i miliardari giapponesi samurai-Nuvolari, a pilotar barchette Alfa Romeo come cavoli a merenda, cuffiette e occhialoni ma con la cera impassibile da kamikaze, che manco si degnano di rispondere ai saluti del pubblico; talaltri sostengono che sia un mix di cafoneria vippesca e arroganza padronale, con attriciucole e divette e pseudo-bellone, che manco distinguono una biella da un pistone, epperò si pavoneggiano sopra milionarie (in euri…) Bugatti da Gran Premio, a fianco d’un principessino o d’un fabbricante d’armi… Noi non la pensiamo così severamente, anche perché tutti gli anni che ci siamo accodati di straforo alla carovana, abbiamo potuto toccar con mano la gioia e il divertimento delle migliaia e migliaia di persone a bordo strada; certo, i tempi son cambiati, e forse lo spirito con cui oggi ci si assiepa a guardare la Kermesse lungo tutto il tragitto, paese dopo paese, strada dopo strada, è ben diverso da quello dell’Italia di allora, ma, comunque sia, il colpo d’occhio è allegro e festoso.

E allora ci auguriamo che Piediluco, che nelle ultime edizioni della rievocazione è stato solo sfiorato (2006, S.Gemini-Terni-Narni-Roma; 2005, Leonessa-Morro-Rieti-Roma; 2004, S.Gemini-Terni-Narni-Roma; 2003 S.Gemini-Terni-Passo Corese-Roma…) torni a essere attraversato in una delle future edizioni, anche perché la statale 79 Terni-Rieti della non teme confronti con le più panoramiche strade del Bel Paese.

Addio Piediluco bella…

Ci piace immaginare che la dolcezza del paesaggio del Lago di Piediluco, nonché la militante solidarietà dei Piedilucani abbia alleviato le malinconie dell’esilio al grande statista portoghese, Mario Soáres, allorché vi soggiornò nei primi anni ‘70, esule dalla madrepatria oppressa dal regime fascista di Salazar.

Nato nel 1924, laureato in legge a Lisbona, divenne avvocato nei bui anni della dittatura reazionaria che soffocò il paese lusitano dopo la transizione dalla monarchia, già a partire dal 1926. Un clima simile a quello del fascismo italiano: autoritarismo contro i ceti operai; repressione, anche violenta, delle opposizioni politiche libertarie; retorica nazionalista, pompe e cerimonie di facciata. Per chi ha letto il bel romanzo di Maurizio Tabucchi, ‘Sostiene Pereira’, o visto il film da questo tratto, è facile immaginare come poteva essere la vita del giovane avvocato Soáres, che con la propria attività forense tentava di difendere i diritti civili aggrappandosi ai pochi appigli della giurisprudenza lusitana rimasti esenti dalla corruzione della dittatura reazionaria.

Ovviamente a tale attività manifesta, il giovane Soáres affiancava una ancor ben più importante attività clandestina. Fu così che, dopo essere stato lasciato libero di candidarsi manifestamente all’opposizione ‘democratica’ in due ‘elezioni-farsa’ che il regime lasciò celebrare nel 1965 e 1969, venne invece arrestato tra la fine del ‘69 e l’inizio del ’70. Sennonché, in un modo o nell’altro, riuscì a scampar le galere patrie, dandosi all’esilio.

Scampato dapprima a Bonn, dove ottenne lo status di rifugiato politico, ebbe occasione di soggiornare a lungo in Italia, e in particolare a Piediluco, su invito della federazione ternana del PSI. Per fortuna, la storia volle che la dittatura portoghese andasse presto a carte e quarantotto, dietro la spinta del movimento dei lavoratori, degli studenti libertari, e, guarda un po’, della stragrande maggioranza dell’esercito.

Furono proprio i quadri intermedi dell’esercito, quasi tutti di intima ispirazione progressista, a scoccar la scintilla per il colpo di mano dell’Aprile del ’74. Per una volta tanto, in quei tumultuosi anni in cui il Mondo vide l’esploder di splendidi bagliori rivoluzionari, ma anche la spietatezza della repressione, come nella tragedia del Cile democratico crollato sotto il golpe del generale Pinochet, i militari non tengono per la reazione, ma lottano contro di essa. E così il 25 di Aprile, con i garofani infilati nelle canne dei fucili, senza sparare un solo colpo, ché fiumane di popolo in festa fanno loro scorta, i soldati portoghesi vanno a occupare Parlamento e Ministeri, radio e televisione; il Colonnello Otelho de Carvalho legge innanzi all’attonita assemblea del regime uno storico proclama democratico. Sono giorni bellissimi: una vera rivoluzione, ma una rivoluzione pacifica e incruenta.

Tutti gli esuli portoghesi si precipitano a tornare a casa: c’è da organizzare i partiti politici, c’è da fondare uno stato finalmente libero e democratico. Li accompagnarono, in questo viaggio di ritorno, talvolta difficile perché magari si doveva transitar per la Spagna, ove ancora sussisteva la dittatura di Franco, tanti e tanti militanti da tutta Europa; tutti volevano convergere su quell’estremo lembo occidentale d’Europa, ove dalle canne dei fucili non spuntavano nere pallottole ma garofani rossi. E fu così che Mario Soáres dette l’addio a Piediluco, e tornò in madrepatria, acclamato come uno dei più coraggiosi oppositori della dittatura.

Da massimo dirigente del Partito Socialista Portoghese nel nuovo stato democratico ricoprì gli incarichi sia Primo Ministro che di Presidente della Repubblica. Per noi Piedilucani, gente di spirito libertario, l’aver dato rifugio a un uomo come Mario Soáres nel suo difficile esilio è orgoglio e vanto: proprio per questo abbiamo fatto apporre una bella targa, in corso Raniero Salvati n 14, sulla facciata della casa ove dimorò, per rammentarlo a tutti, anche e soprattutto a villeggianti e gitanti a spasso….

Libero Liberati

Pubblichiamo, per gentile concessione dell’Autore, una splendida poesia dedicata a Libero Liberati, indimenticabile asso motociclistico degli anni della ricostruzione; vinse il campionato del Mondo, perì sciaguratamente in gara proprio nella sua Terni, sbandando in fuorivia a uno dei curvoni della Valnerina nel tratto tra le acciaierie e Papigno.

A quei tempi i piloti s’allenavano sulle strade, magari tutte rotte ma certo poco trafficate, sicché Piediluco era nel quotidiano giro d’allenamento del fuoriclasse ternano: i versi della poesia filmano questa sequenza come fotogrammi di cinema neorealista, ben esprimendo l’atmosfera di quell’Italia appena rinata dalla tragedia del Fascismo e della Guerra, con lo spirito di speranza che viene liricamente simboleggiato nello stupore fanciullo dei bimbi entusiasti innanzi al miracolo, “di ferro e vento”, del centauro che sfreccia sulla via in sella alla motocicletta.

Liberati

Stavano li fiji A gioca’ dietro la curva co’ la terra: su ne la cava, braccia e palitti era tutt’un ferru, cacciavano la pietra pe’ costruì dopo la guerra.

D’un trattu un rombo giù pe’ Mazzelvetta*: li fiji addrizzano le recchie: arriva Liberati. S’arzano in piedi “Arriva Liberati, arriva Liberati”. Rimbomba lu motore da lu montagnone, scappano fori le femmine sull’uscio, se fermano le mazze pe’ vedè ‘stu bombardone.

“Ecculu, mo arriva, sta dietro lu curvone”, lava lo gas, risucchia lu motore, zompano li fiji, tremano li vetri, si ferma il tempo, si fermano le ore: gas, scoppi su scoppi, cavallo e cavalier nella parabola, ricino** nell’aria, per i bimbi è un guerriero nella favola. Lo spazio si restringe, sotto la villa Liberati è un lampo, su nella curva Liberati è un rombo. Liberati è vento, è ferro, è terra: Liberati è un sogno, è una realtà dopo la guerra.

Silvano Rossi, “Le Poesie del Signor Rossi”, Ed. “APE” Terni, Collana l’Arnia 229, 1991. Note del redattore * La montagna di Mazzelvetta, tra il ciglione delle Marmore e la costa settentrionale del Lago di Piediluco; evidentemente, il campione, nel suo giro d’allenamento, era risalito da Terni e si dirigeva verso Piediluco. ** L’olio di ricino (ossia il castor oil per gli inglesi) era ed è utilizzato come additivo per le benzine dei motori da gara, soprattutto in campo motociclistico; per i veri appassionati di motorismo sportivo il caratteristico puzzo della sua combustione è una sorta di proustiano aroma di Madeleinettes…

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