Toponomastica Storica

Toponomastica storica di Walter Mazzilli
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Introduzione

Con le pubblicazioni “Per la chiesa di S. Maria del Colle” (Terni, 1991) e “La Giostra [Il presente saggio è parte di un lavoro più ampio di prossima pubblicazione.] (Terni, 1992) abbiamo ricomposto altre due tessere di un mosaico, che ha come soggetto il microcosmo di Piediluco [Per le notizie sulle due pubblicazioni citate vd.

“Memoria Storica”, n. 4, 1944, pp. 139 sg.]. Oggi, non intendiamo parlare di distruzioni materiali, ma di qualcos’altro: certo più profondo, sebbene impalpabile; più concreto, sebbene sfuggente. Vogliamo parlare di toponomastica, dei nomi di luoghi, di monti, di colli, di valli, di strade, di casali, di corsi d’acqua. Se ci rivolgiamo alle carte redatte dal comune di Terni, vedremo che il territorio di Piediluco è ripartito in otto vocaboli.

Nulla di più falso! E, non solo perchè le sedimentazioni di una cultura millenaria hanno lasciato una ricca documentazione nelle carte d’archivio, negli antichi catasti, nello Statuto comunale, ma anche perchè il sapere degli anziani non accetta mutilazioni. Noi ci proponiamo di continuare nell’impresa di “restauro” della memoria storica di una comunità, che ha subito profonde trasformazioni indotte dai processi di modernizzazione e che, particolarmente tra le nuove generazioni, è esposta a fenomeni di smarrimento dell’identità collettiva.

L’invito, che si vuole fare, è di tornare ad osservare il territorio con l’occhio “acculturato” di chi sa “riconoscere” i luoghi, chiamandoli per nome. I toponomi rappresentano come dei relitti alluvionali. Se proviamo ad interrogarli, restituendogli quella ricchezza di contenuti che la polvere dei secoli tende ad occultare, ci daranno informazioni di geografia, di botanica, di idraulica, di divisioni amministrative, di archeologia, di religione, di lingue e dialetti.

Ma, per ottenere informazioni bisogna saperli interrogare. Non è un’impresa dilettantesca. È richiesto uno scavo lungo e paziente; una verifica attenta delle fonti scritte ed orali. In più, necessita una vigile attenzione per non cadere nelle trappole tese da notai, segretari comunali, malaccorti eruditi che sono incorsi in grossolani errori.

Talora, la stessa memoria collettiva può ingannare, perchè sono scomparsi i contadini, i braccianti, i pastori che avevano un rapporto ombelicale con il territorio. Per quanto concerne le fonti, ci siamo avvalsi della consultazione dell’originale dello Statuto del Comune di Piediluco del 1417 e dell’edizione volgarizzata dello Statuto della fine del 1500, del catasto del 1611 (parte), dei catasti del 1658, del 1677, del 1748, del 1783, del 1834, del 1859; di relazioni sullo stato patrimoniale delle chiese e del convento francescano; del testamento di Matteo Palmari, sacerdote di Piediluco, redatto nel 1701; dell’inventario dei fondi rustici della parrocchia del 1880; per la toponomastica urbana, del registro dell’anagrafe antica; dei catasti di Miranda e delle mappe catastali di Buonacquisto e di Castel di Lago per verifiche relative a zone di confine; per la cartografia, abbiamo consultato le mappe catastali del comune di Piediluco del 1819 e del 1859; l’ortofotocarta della Regione dell’Umbria; la carta dell’I.G.M.; le piante delle proprietà del Dominio Collettivo di Piediluco, redatte dal guardaboschi Albano Crisostomi, nel 1986; per la bibliografia, abbiamo, tra gli altri, consultato gli atti del I° e del II° Convegno dell’Atlante Linguistico dei laghi Italiani; le monografie “Il lago di Piediluco” di N. Ugoccioni, e “il lago di Piediluco e il suo bacino” di R. Riccardi; la “Toponomastica Italiana” di G.B. Pellegrini; i Quaderni della regione dell’Umbria: “La flora: alberi e arbusti” ed “I nomi di luogo in Umbria”; il “Dizionario etimologico della lingua italiana” di Carlo Battisti; l'”Avviamento alla etimologia italiana” ed il “Vocabolario illustrato della lingua italiana” di G. Devoto-G. Coli; il “Dizionario della lingua latina” di F. Calonghi; e “Piediluco, i Trinci e lo statuto del 1417”, a cura di M. Grazia Nico Ottaviani; per le informazioni relative alle chiese abbiamo consultato i verbali delle Visite Pastorali e la “Descrizione delle chiese di Piediluco” redatta dall’arciprete Flavio Crisostomi nel 1727.

C’è, infine, da sottolineare che il catasto del 1859 è quello che contiene una gran copia di errori; e che non si registra una puntuale corrispondenza tra dati catastali e le carte dell’I.G.M. Per quanto riguarda il metodo, abbiamo selezionato i toponimi considerando la frequenza, ossia il ripetersi dello stesso nome nelle fonti scritte o orali. A tal fine, si è scelto di incrociare i dati raccolti con l’intento di riproporre la mappa toponomastica del territorio.

Invece, nel glossario sono presentati tutti i nomi documentati nelle fonti scritte, gran parte dei quali sono divenuti estranei alla memoria collettiva. Infine, con l’ausilio delle fonti orali si è tentato di fornire una rappresentazione della micro-toponomastica lacustre. Per quanto concerne l’ordinamento, i toponimi potevano distribuirsi secondo note categorie classificatorie:

  1. Antroponimi, derivanti da nomi di persone;
  2. Zootoponimi, derivanti da nomi di animali;
  3. Fitotoponimi, derivanti da nomi di piante;
  4. Nomi di varia origine;
  5. Nomi di origine ignota o incerta, ecc..

Per rendere più interessante il testo, abbiamo scelto la forma dell’itinerario e dell’accorpamento dei dati in tre settori, assecondando la ripartizione adottata dal catasto moderno:

  1. Mappa Colle Santo (da voc. Mazzelvetta fino a voc. Agnese);
  2. Centro Storico;
  3. Mappa Piediluco (dal braccio di Cornello fino al Canalone);

In coda, si è posto il Glossario e la Micro-toponomastica lacustre.

Con la ricerca abbiamo tentato di cogliere l’origine dei toponimi ed il loro significato, nell’intento di invitare il Comune di Terni e la Circoscrizione “Velino” a restituire l’identità a siti “anonimi” ed a correggere errate attribuzioni, riproponendo i nomi che la storia e la cultura del luogo hanno prodotto.

Molti, anche tra i residenti, apprenderanno che il paese si chiama così, perchè si è sviluppato ai piedi del monte Luco, che i nativi conoscono come monte la Rocca; e che il monte che si erge dirimpetto all’abitato, comunemente detto montagna dell’Eco, ha il nome di monte Caperno; oppure che tanti ruderi senza volto corrispondono ai resti delle chiese di S. Ermete, di S. Francesco da Paola, di S. Luigi Gonzaga, o che voc. “i Quadri” non si denomina così per la presenza di quei tabelloni pubblicitari che ricordavo dai tempi dell’infanzia, bensì da un’antica unità di misura di superficie.

Infine, a mò di conclusione, vorrei di nuovo rispondere alla domanda, che più volte mi è stata posta: “A cosa serve mangiare tanta polvere d’archivio”? Non di certo ad ingrassare. Ed è proprio questo che lo scettico materialista non comprende.

Saremmo, invece, soddisfatti se si riuscisse a cancellare tanti vandalismi ed a ripristinare la toponomastica storica. E, comunque, la conoscenza fa premio a se stessa. Perchè se una comunità smarrisse l’identità culturale e recidesse le proprie radici, perderebbe con la conoscenza del passato anche la possibilità di progettare il futuro.

Allora, non resterebbe che quella massa ottusa ed egoista, descritta da Tocqueville: “Vedo una folla innumerevole di uomini simili ed uguali che non fanno che ruotare su se stessi, per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo.

Ciascuno di questi uomini vive per conto suo ed è estraneo al destino di tutti gli altri: i figli e gli amici costituiscono per lui tutta la razza umana; quanto al resto dei concittadini, egli vive al loro fianco ma non li vede; li tocca ma non li sente; non esiste che in se stesso e per se stesso”.

La partita è ancora aperta [Si ringrazia per la gentile collaborazione l’Archivio di Stato di Terni, la Biblioteca Jacobilli di Foligno, la Biblioteca Comunale di Terni, la Circoscrizione Velino, l’Archivio Storico del Comune di Terni, l’Archivio di Stato di Roma, la Biblioteca Nazionale di Roma, l’Archivio della Diocesi di Terni e, tra i nostri cortesi informatori, Walter Zagaglioni, Giuseppe Marini, Italo Di Patrizi detto Carluccio e lo scomparso Albano Crisostomi.]

Mappa Colle Santo

– Voc. la Forca, dal latino “furca”, “biforcazione o passo di monte”. Formulazione abbreviata che sta per Forca di S. Ermete, o Forca di Piediluco, o Forca dell’Arrone; dagli anziani detta di S. Termine.

In passato, sulla linea di confine tra Arrone e Piediluco sorgeva una garitta della quale non risulta traccia, ma che è ricordata allo stato di rudere da Giuseppe Marini, nostro informatore. In questo sito doveva esercitarsi l’uffico della gabella, come testimoniano i toponimi Forca daziaria presente nel catasto del 1748 e via della Dugana vecchia, presente nell’inventario dei beni del convento francescano, redatto in data 1/2/1729, allorchè il Comune di Piediluco ne acquisì la proprietà, corrispondendo alla S. Fabbrica di S. Pietro 325 scudi. – Strada della Forca, che da casa d’Eusebio conduce alla Forca. – Voc. S. Ermete, prende nome dalla chiesa omonima.

Dalla visita pastorale del 1573, effettuata da Mons. Camagliani, si evince che il beneficio semplice di S. Ermete dipendeva dalla Gerosolimitana Commenda di S. Lucia di Perugia. Nell’elenco delle decime della diocesi di Terni, relative agli anni 1275-1280, è indicato il convento di S. Ermete, insieme alle chiese di S. Maria, di S. Stefano e di S. Adriano. L’edificio, già dei Cavalieri di Malta, si trova allo stato di rudere. Il vocabolo è detto di S. Termine, essendosi operata una sintesi tra il nome del santo, che dà il nome alla forca, al vocabolo, alla chiesa, ed il termine, ossia il confine storico tra il comune di Piediluco e quello di Arrone, ove le strade si incontrano in un crocevia.

Nel mondo greco-romano si esponevano le erme, (immagini scolpite del dio “Hermès-Mercurio”, poste sopra colonne squadrate, con un fallo in erezione in posizione evidente) presso l’entrata della casa, i crocicchi ed i confini. Nel catasto del 1748 viene segnalato il voc. l’Immagine posto lungo la Strada Romana, nei pressi della chiesa di S. Ermete. È da sottolineare che questo vocabolo è di interesse archeologico, in quanto si è avuta notizia di relativamente recenti ritrovamenti di monete romane, di pietre lavorate, di reperti di opere scultoree e di materiali preistorici. – Voc. Monte Lupo, dal latino “lupus”.

Lo zootoponimo è riferito al monte che corre da voc. S. Ermete, oltre la villa Franchetti, fino al bivio per Colle S. Angelo; mentre la costa soprastante la fonte del Ficarone è denominata Monte Lupo o Ficarone. Nel catasto del 1859 è erroneamente indicato come monte Lucco.- Villa Franchetti, residenza signorile di gusto neo-classico, edificata per volere dell’omonima famiglia baronale alla fine del sec. XIX°.

La Provincia di Terni ne ha la proprietà e, con scelta di pessimo gusto, le ha mutato il nome, facendole assumere quello di Villalago. – Fonte del Lupo o del Ficarone, dal latino fons lupi. Si tratta di una sorgente che riforniva, mediante un acquedotto, il paese di Piediluco e dismessa in tempi non lontani. Secondo dati forniti dall’Ufficio Tecnico Comunale e riferiti da R. Riccardi, la portata normale era di 1-1,5 l/sec, che in magra si riducevano a 0,5 l/sec. Il Comune di Terni ha consentito l’edificazione di una civile abitazione al di sopra della sorgente che, ormai, si ritiene inquinata da colibatteri fecali.

Sarebbe auspicabile un intervento di bonifica. – Fosso del Ficarone o del Ficorone, dal latino classico ficus, dal latino volgare fica e dal dialettale ficora, che indicano l’albero ed il frutto del fico o luogo piantato a fichi. La fonte alimenta il fosso ed ambedue sono comunemente detti del Ficarone. – Voc. Fonte del Ficorone, vedi sopra. Nel catasto del 1658 vi è censita una casa rurale con terra olivata di proprietà della famiglia Palmari. – Voc. Presciano, dal latino “precarium”, “contratto agrario relativo all’usufrutto di un fondo del quale non si ha piena proprietà”. – Voc. li Frattacci o le Frattuccie, dal greco medievale “phraktes “o dal latino “fracta”, “macchia folta e intricata”.

Doveva trattarsi di una macchia che si estendeva ai piedi della strada Romana e della chiesa di S. Ermete, e lambiva voc. Campo Lungo. – Strada di Monte Luco o delle Frattuccie o delle Frattaccie, strada pubblica che dai piedi di colle Tanie conduceva fino alla Forca. Nei pressi della forca era denominata strada della Dogana vecchia. Rappresentava l’alternativa di fondo valle alla strada Romana, che segnava un percorso di costa. – Voc. l’Alferino, antroponimo dal latino “Alferinus”, dal gotico “Alfaharjis”, latinizzato in “Alferius “o “Alferinus”.

Nel catasto del 1677 è censita una casa rurale diruta a voc. Alferino o Ficarone di proprietà dei Farrattini. – Voc. Campo Longo o Lungo, dal latino “Campus Longus”. Nel catasto del 1748 è censita una casa rurale della famiglia Montani, che nel catasto del 1834 sarà detta Casa Bianca. – Voc. Monte Luco, dal latino “mons “e “lucus”, “bosco sacro agli dei”. Due sono i monti con lo stesso nome; questo si erge sul confine tra i territori del comune di Arrone e gli antichi municipi di Castel di Lago e Piediluco, nei pressi della Forca. – Voc. Monte della Rocca o Monte Luco, il monte sovrasta l’abitato ed ha dato nome al paese, che è stato edificato ai piedi del monte Luco. Lo Statuto lo indica come monte della Rocca, in quanto questo nome si impose dopo la costruzione della rocca dei Brancaleoni, signori di Luco.

Tuttora, i nativi preferiscono chiamarlo “monte la Rocca”. Mentre, la parte del monte alle spalle del centro storico, detta “lu Colle”, ha dato nome alla chiesa parrocchiale di S. Maria del Colle ed alla piazza del Colle, ora piazza O. Bonanni. Nel catasto del 1611 l’odierna piazza era detta Ara del Colle. Negli anni ’40 si pose mano al rimboschimento del monte con la messa a dimora di pini, della specie “pinus nigra”, che sono essenze estranee all’ambiente. – La Piazza, prima della piazza del Colle o Bonanni, il tratto di strada che corre d’avanti alla gradinata della chiesa di S. Francesco era ritenuto la piazza del paese. – Il Padùle, dal latino palus, “palude”; nel catasto del 1611 è detto “Ara del Paludi”.

Il toponimo si riferisce ad una striscia di terreno, un tempo acquitrinoso, oggi destinato a giardini pubblici. Lo Statuto prevedeva il divieto di appropriazione dell’area da parte dei privati, qualora il terreno si fosse liberato dalle acque del lago. – Le Coste, dal latino costa, ripido pendìo del monte della Rocca, al di sopra dell’abitato di Piediluco. – Strada delle Coste, vedi sopra. Si trattava di una mulatttiera che correva sopra l’abitato da porta del Carpine fino alla chiesa della Madonna della Porta. – Voc. Fonte delli Cani, il toponimo è dato dal fosso che nasce dal monte Luco. In alcuni catasti è indicato come voc. Fonte de’ Cani o Fonte di Lucano o Fonte Lucània. Il toponimo deriva da un'”erronea” interpretazione dei parlanti: smarritosi il significato del termine “lucanus”, lo si è inteso come “lu-canus”, ovvero “lu cane”. Nel catasto del 1677 è censita una casa rurale di proprietà della famiglia Nobili, in seguito detta Casa d’Eusebio. – Voc. casa d’Eusebio, prende nome dal casale fatto costruire da Eusebio Nobile/i da Castel di Lago, tra il 1658 ed il 1677.

L’edificio è stato in epoca moderna trasformato per dar luogo ad una residenza estiva, che è chiamata “cas’ Usepio”. Il vocabolo assunse questa denominazione nel XIX sec., perchè in precedenza era ricompreso nel voc. Fonte delli Cani. Invece, nel catasto del 1783 è detto voc. lo Schioppo dello Sciame; in altre carte è detto lo Schioppo dell’Usciame, dal latino “scopulus”, “scoglio” e da “examen”, “sciame”. – Valle di ser Jaco, antroponimo desueto, ubicato tra Fonte dei Cani e Campo Longo. – Strada Romana, strada che dall’osteria saliva fino alla Forca. E’ più volte citata come la strada che da Spoleto va a Rieti. Nella mappa catastale del secolo scorso è detta anche Salara. Il tracciato è stato, in gran parte, ripreso dall’odierna strada provinciale. – Fonte d’Erna o dell’Edra, dal latino “hedera”, sorgente presso casa d’Eusebio. – Voc. le Coroncèlle, dal latino corona, “corona di monti”. – Casale Coroncèlle, censito nel catasto del 1658 tra le proprietà dei fratelli Stefano e Gabrielle Crisostomi. Tra breve l’edificio sarà ristrutturato per destinarlo ad alloggio-vacanza. E’ comunemente detto casale del “Marinaro”, dal soprannome dell’ultimo affittuario.

Nelle vicinanze, la cattedra di Protostoria di Perugia ha individuato un sito preistorico. – Voc. Fonte della Mojia, dal latino “mollia”, “polla d’acqua sorgiva in un terreno acquitrinoso”. Nello Statuto sono citati il guado e la via della Moglia. – Strada della Mojia, che passa a monte del casale Coroncèlle e giunge fino a casa d’Eusebio. – Voc. Fonte dello Schiòvo, dal latino “clavus”, “chiodo”, e dall’italiano arcaico chiòvo. Con li “Schioi “si intende riferirsi ad un arbusto della specie “prunus spinosa”, il pruno selvatico, che ha frutto violaceo, rami spinosi, e che richiama i “chiodi”. E’ comunemente detta “fonte li Schioi”. – Voc. la Vignaccia, dal latino volgare “vinja”, “vigna”, usato nell’accezione dispregiativa. Presente nel catasto del 1748 per indicare un fondo in voc. Mazzelvetta, e nel catasto del 1783 per indicare un fondo tra Fonte dello Schiòvo e la sforcella di Castel di Lago. – Fonte li Trocchi, dialettale per trogolo, dal longobardo trog, “abbeveratoio in legno o recipiente ricavato da un tronco scavato, dove si pone il cibo per i maiali”.

Il toponimo si riferisce ad una fonte sita presso il casale Coroncèlle. – Voc. Fondo o Fonno di Palermo, l’antroponimo desueto, si riferiva alla fascia collinare compresa tra monte Mardiellu e Fonte li Schioi. Della famiglia Palermo/i sono citati, nel catasto del 1748, tre fratelli, in qualità di eredi del padre Antonio. Ma, in quella data non risultano proprietari di quel fondo. Nel catasto del 1783 non vi è traccia della famiglia, ma si cita il toponimo. – Fontanelle de’li fussitti, sorgenti presso il confine con Torre Orsina. – Forcella di Mascarone, che si raggiunge percorrendo la strada che da casa d’Eusebio conduce alla “sforcella “di Castel di Lago, detta di “Mascarone”. – Voc. Monte Mardellu o Mardiellu, oronimo che ha avuto “una vita molto tormentata”. I notai che redigevano i catasti non erano sempre originari di Piediluco e non interpretavano correttamente le dichiarazioni orali dei nativi; talora si industriavano ad italianizzare il nome dei luoghi, pervenendo a registrazioni fantasiose. Tanto che un toponimo veniva indicato dallo stesso notaio con numerose varianti, non rendendosi conto, all’atto di annotare le dichiarazioni dei diversi proprietari che, in realtà, quello indicato era lo stesso sito. A questo proposito abbiamo oscillazioni che vanno da voc. Margaello, Marguello, Margaelle, Marguelle, Marcajello, Margavello, Margaelli. Nella carta I.G.M. è indicato come monte Mardello. Forse deriva dal latino “martavellus”, “speciale rete utilizzata per l’uccellagione e per la pesca”. Nello Statuto è stabilita una multa di 10 soldi, più 1 soldo per ogni starna, catturata di frodo con il martavello. – Voc. Colle di Valle Gallo, dal latino “collis vallis galli”, il toponimo è citato nello Statuto.

Talora è denominato monte Gallo. E’ da osservare che in dialetto per indicare il gallo si dice lu galle; tanto che in alcuni catasti il vocabolo è indicato come Colle di Galle Gallo. Mentre, nei catasti più recenti, per erronea trascrizione dei notai comunali, viene censito come voc. Colle di Valle Valle. E’ comunemente detto Colle Valle. – Voc. il Casale, dal latino “casalis”, “costruzione rurale in muratura”, sito non lontano dal Colle di Valle Gallo. Citato nello Statuto del 1417; nel catasto del 1611 è incluso tra le proprietà Poiani-Farrattini. E’ da identificare nel casale, in seguito, detto del Rivo. – Voc. Valle Gallo, coll’istrumento rogato dal notaio Gio. Battista Elementi il 3/9/1651, Gabrielle Crisostomi acquista da Pietro Lelio Bracci una palombara sita a voc. Valle Gallo, dietro corresponsione di 140 scudi. La proprietà consisteva in un casale con palombara detto il Cortone ed era attraversata da un fosso detto il Portone, che si immetteva nel lago Velino in località il porto, detto di Portogallo. Nella mappa catastale originale del 1819 è chiamato voc. la Palombara. – Voc. il Rivo, dall’omonimo casale, sito presso il rio del Cervaro. In questo vocabolo è stato rinvenuto materiale preistorico. – Voc. Monte Oppio, dal latino populus, “pioppo”. I nativi lo chiamano mond’Oppio. Nello Statuto, l’oronimo è denominato “monte Doppio”. – Cerrone delli Frati, dal latino cerrus, “cerro”. In questo sito era il fondo detto le Cese, di proprietà del convento francescano, ubicato presso la cima di monte Oppio, del confine e del fosso. Era attraversato dalla strada per Torre Orsina. – Voc. Dicontro, dal latino contra, “collocazione di un luogo dirimpetto ad un altro”.

In questo caso il vocabolo è situato al di là del lago, difronte al borgo. Nel catasto del 1611 era censita una casa rurale, con terra lavorativa, vignata e piantoni di proprietà di Giuseppe Poiani, ultimo Signore di Piediluco, del ramo diretto della casata. – Voc. Colle Santo, dal latino “collis sanctus”. Il toponimo è presente nei catasti come Colle Santi o Colle di Santo. Nel catasto del 1658 erano indicate due case rurali, con terra lavorativa e arborata, delle famiglie Almuti e Marinangeli. Secondo due storici reatini, Michaeli e Vittori, il toponimo piedilucano è da collegare a Colle Santo presso Contigliano, a Voto di Santo ed alla Valle Santa di Rieti, luoghi in cui vi erano dei templi dei Sabini, eretti in onore del dio Sancus Sanctus. – Colle di S. Secondo, dal latino “collis sancti Secundi”. Prendeva nome dall’abazia ivi ubicata, risalente al XIV° sec. e demolita alcuni decenni orsono, per dar luogo ad una residenza estiva. – Fonte di S. Secondo, piccolo fosso che prendeva nome dalla soprastante abazia. – Valle di S. Secondo, piccola valle attraversata dall’omonimo fosso. – Voc. la Croce o Forcella, dal latino crux e dal diminutivo di “furca”. La denominazione deriva dal crocicchio a nord di Colle Santo , o dalla strada detta del Capocroce, che da voc.

Dicontro sale fino alla forcella di Collestatte, detta, nello Statuto, “forcella della Rocca”. – Voc. Fonte del Prato, dal latino “fons prati”. Il toponimo è citato nello Statuto. L’idronimo deriva dalla sorgente le cui acque dovevano confluire nella “forma”, che raccoglie le acque dei fossi, che discendono dall’Ara Vecchia e da Monte Castellano, ossia fosso Nobile, fonte La Quercia, fonte Sordiana, fosso le Felci, fosso di monte Castellano, fosso de li Pachi. La citata “forma” convoglia le acque nel braccio del lago detto Foss’ell’erba, ovvero Fossa dell’erba, detto anche della Fonte del Prato. La sorgente fu acquisita dal demanio delle Ferrovie e, mediante un acquedotto lungo 2 Km, riforniva d’acqua la stazione ferroviaria di Piediluco per l’approvvigionamento delle motrici a vapore. Dai rilevamenti svolti da Riccardo Riccardi risulta che “la portata della sorgente è soggetta a notevoli oscillazioni; in periodo di massima magra (ottobre) vi ho misurato complessivamente 0,13 l/sec; in aprile la portata risultò di 0,21 l/sec”.

La sorgente, da tempo dismessa, è da bonificare. Nel catasto del 1783 è censita una casa rurale di proprietà della famiglia Cartòni. – Valle del Prato, dal latino “vallis prati”, identifica una zona piana a valle dell’omonima fonte e prospiciente il lago, detta nello Statuto “Valleprata “o “Vallis Prate”. – Funno e Fosso di Capone, l’antroponimo si riferisce al fondo ed al fosso che anticamente era di proprietà della famiglia Cappone/i. Il toponimo è chiamato nei catasti la Fallita di Capone. – Voc. le Paghette o le Pachette, dal latino medievale “pachecta”. Con “”li pachi o pachette” “si indica una zona non soleggiata, esposta a nord. Pachecta è da collegarsi al dialettale a “pacìnu”, dal latino opacus, “luogo ombroso, a tramontana”. E’ citato a partire dall’edizione volgare dello Statuto. – Voc. Valle del Melo, dal latino popolare “melum”. Dal catasto del 1748 si desume che la valle è attraversata dal fosso di monte Castellano. – Voc. Fonte Sordiana o di Sordiano, antroponimo, che indica una pluralità di sorgenti, ovvero le fonti Sordiane.

Gli anziani la chiamano fonte Sordiana; nei pressi vi scorre il fosso del fondo le Felci. – Monte Castellano, dal latino “castellanus”, ove si presume fosse ubicata una costruzione militare, che una ricognizione archeologica potrebbe accertare. – Voc. Valle Castellana, valle ai piedi del monte. – Li Carpinacci, piccola valle caratterizzata dalla presenza di una macchia di carpini, sita a settentrione del voc. Fonte del Prato, in direzione di monte Castellano. E’ forse da identificare con il più antico toponimo di Valle Castellana. – Voc. l’Ara Vecchia, dal latino “area vetula “o “vecla”, “spazio aperto o più semplicemente aia vecchia, cioè lo spazio attiguo alla casa colonica ove si collocano i prodotti agricoli per essiccarli o lavorarli”. Nello Statuto ci si riferisce a voc. “Trescum”, termine di origine gota, che indica l’aia. Comunemente è chiamato voc. la “Rècchia”. – Monte Cellone, forse dal latino “cella”, “deposito di alimenti”. In questo luogo potevano esserci dei depositi per l’immagazzinamento delle foglie di alberi da foraggio, che erano compresse in cavità naturali o artificiali, al riparo dall’aria.

Come ha scritto G. Salvi, in “Boschi: storia e archeologia”, “la sequenza del taglio prevedeva, che si iniziasse dai siti dove nebbia e rugiada accelleravano il deperimento della foglia, lasciando invece per ultimi i cerri delle zone più soleggiate”. Il monte si trova sopra l’Ara Vecchia. Nei pressi vi sono due mulattiere: una conduce alla forcella del Diavolo, e di qui a Collestatte piano; mentre l’altra attraversa monte Cellone e si congiunge con la strada maestra per Collestatte, presso la forcella dei Cipressetti. – Scoppio Cervaro o Corvaro, dal latino “scopulus cervarius”, “scoglio cervaro”. Con la scomparsa dei cervidi dal territorio, i nativi sostituirono il termine Cervaro con Corvaro. Nei catasti il toponimo è presente nelle due versioni. – Voc. Valle Accollata, dal latino “vallis “e “collis”. Si riferisce ad una striscia di terreno piano, presso la sommità del colle, sul confine col territorio di Collestatte, nella zona dell’Ara Vecchia. – Casetta Vannelli, fondo boschivo all’interno del voc. Ara Vecchia. Prende nome dalla famiglia Vannelli di Collestatte, già proprietaria del fondo nel XVIII° sec. – Voc. Cerri Alti, dal latino “cerrus”. Il cerro è un albero che può misurare da 20 a 30 m. di altezza. Il fitonimo indica una zona di montagna, che rivela la presenza di cerri di alto fusto. – Voc. Mazzelvetta, nei catasti è presente anche nelle varianti di Mazzarvetta, e di Malselvetta. L’oronimo indica il monte Mazzelvetta, che potrebbe derivare da “mal”, termine preindoeuropeo che indica un monte e dal latino “silva”. Pertanto, potrebbe segnalare un monte con una piccola selva. Nel catasto del 1834 è inclusa tra le proprietà dei conti Pianciani una casa rurale, che è stata recentemente ristrutturata. – Voc. Costa delle Marmore, dal latino “costa”, “ripido pendìo di un monte”.

Negli antichi catasti è indicato come Costa delle Marmora. – Voc. Colle del Porto, dal latino “collis “e “portus”, indica il colle sovrastante il porto della Comunità. – Voc. Colli della Croce, dal latino “crux”, toponimo desueto, presente nel catasto del 1611. Prende nome da un crocicchio, posto a monte del Porto della Comunità. Successivamente è citato e conosciuto come Colli/e del Porto. – Voc. il Porto, indica il porto sul fiume Velino, ove si svolgeva il servizio di traghettamento del fiume. Il servizio veniva concesso in affitto, ogni due anni. I proventi erano ripartiti a metà tra il comune di Piediluco ed i conti Poiani-Farrattini e Pianciani. Il “passo della barca o passo di fiume” assicurava il transito per coloro che da Piediluco intendevano dirigersi verso Terni e viceversa. In questa località, nel 1868, nel corso dei lavori per la costruzione della strada Terni-Rieti, fu rinvenuto un dolio contenente ascie, punte di lancia, fibule, falcetti, chiodi, viti, coltelli, braccialetti, ecc… risalenti al IX°-VIII° sec. a.c., reperti che sono noti con il nome di Tesoretto di Piediluco ed in buona parte conservati al museo Pigorini di Roma e parte a Perugia. – Voc. Cerasola, dal latino popolare “ceresia”, in dialetto “cerasa “o “cerècia”, “ciliegia”, per l’aspetto delle bacche; in botanica tamaro. Nei catasti è presente sia nella forma Ceresola che Cerasola. Nello Statuto è denominato “ara de Ceresciola”; è noto anche come voc. la Palombara. Nel catasto del 1658 è censita una casa rurale bene dotale della moglie di Gioseppe Spica. – Voc. Fondo o Funno dello Spagnolo, dal latino “fundus”, “podere”. Il vocabolo prende nome dall’antroponimo Spagnolo.

Il fondo era parte integrante del voc. Cerasola, ed assunse una denominazione propria dopo l’acquisto da parte della famiglia Spagnolo da Arrone. Un Michele Spagnolo è citato nel catasto del 1611. – Lu Canalone, canale artificiale realizzato dalla soc. Terni e che pone in comunicazione le acque del lago con quelle del fiume Velino. Il soppresso canale naturale, dalla lunghezza di circa 1 km., collegava il braccio di Fonte del Prato con il fiume Velino. A questo proposito, ci piace riportare una citazione desunta da “Terni – Cento anni d’acciaio” di Gisa Giani: “Nel 1925-1927 fu allargato il collegamento primitivo tra il Velino ed il lago di Piediluco che da qualche metro di larghezza fu portato ad oltre 20 metri; si rettificò, in parte, il corso del Velino, si costruirono dighe, bacini di presa, canali e gallerie. Nel 1969, con i lavori di raddoppio della Centrale di Galleto, il canale di collegamento tra il lago ed il fiume, fu portato ad oltre 40 metri ed il percorso del Velino fu completamente sconvolto al punto che il “letto” fu del tutto rifatto.

Sulle sponde del “nuovo” Velino furono piantati alberi di pregio come molte conifere, belle, ma completamente fuori habitat. – Strada del Ponticello, dal latino tardo strata e “ponticellus”. Strada che dal casale di Valle Gallo si dirige in direzione di Piediluco. La strada superava con un ponticello il corso del rivo Cervaro. Dopo il 1932, parallelamente alle acque del fosso, scorrono le acque del Nera che si immettono nel braccio del lago, detto de li “Punticilli”; nei catasti detto della Foce. Dal punto di vista ecologico è da sottolineare che l’immissione delle acque del medio-Nera ha determinato una rilevante diminuzione della temperatura delle acque del lago, nonchè l’immissione di sostanze inquinanti derivanti dai numerosi impianti di troticultura, presenti in Valnerina. – Voc. il Busseto, dal latino buxus, “bosso, arbusto sempre verde”. – Voc. il Cervaro, dal latino cervarius, “zona frequentata da cervi”. È comunemente chiamato voc. la “Cervara”. Il toponimo è anche indicato come I Quadri del Cervaro, dal latino “quadrus “e “quadratus”, “unità di misura di superficie”. – Voc. le Prata, dal latino “pratum”, “i prati”. Al presente, il sito corrisponde al parcheggio ed al campo di calcio. – Rio Cervaro, dal latino rivuS. Torrente che scende dal monte Lupo e sbocca nel ramo del lago detto appunto la Foce, o più comunemente dei “Punticilli”.

Nello Statuto è detto fonte “Cerbarri”, ovvero fosso del Cervaro. – Valle Avvallata, si tratta di una valletta che confina con il Rio Cervaro, voc. Macchia e voc. il Cervaro. – Porta del Carpine, dal latino “porta carpini”. Indica la porta d’accesso al paese, detta in seguito porta Spoletina, poi Ternana. Talora è indicata come porta del Carpino. Nello Statuto è detta Porta Magestatis, ovvero Porta della Maestà. – Strada del Carpine, dal latino strata. Indica la via che dalla Porta conduce al Ponticello. – Voc. la Maestà, dal latino “maiestas”. Il toponimo indica il sito della chiesa della Madonna della Maestà, edificata nel XIV° sec., e dell’area acquitrinosa prospiciente il lago. Nella chiesa, fuori della Porta del Carpine o Spoletina, vi era un altare con l’icona della Madonna ed il bambino, S. Sebastiano ed altri santi. L’edificio, dopo secoli di scarsa manutenzione, fu restaurato prima del 1857. Da decenni non assolve all’antica funzione sacra. – Voc. Macchia, dal latino classico “macula”, poi “macla”, “tipo di boscaglia mediterranea costituito da suffrutici, arbusti e piccoli alberi in prevalenza sempreverdi”.

Il toponimo indica la costa del monte della Rocca esposta a nord e la sottostante valle. Nel catasto del 1859 si cita anche voc. Macchia Morta. – Colle dei Frati, dal latino “collis fratrum”. Il toponimo presente nei catasti dell’800, si riferisce ad un fondo con annesso casale che constava di una stalla, un forno e due stanze al piano rialzato. A partire dal catasto del 1658, il colle è censito tra le proprietà del convento dei frati francescani di Piediluco ed è inserito all’interno del voc. la Macchia o Cervaro. Ai piedi del colle scorre il rio dei Frati. – Voc. li Cretacci, dal latino creta, “suolo argilloso”. – Voc. l’Alvaneto, dal latino tardo “albarus”. Secondo l’interpretazione di Carlo Battisti, il termine “àlvano” è da riferirsi ad “ontano”, pianta delle betulacee, della specie “alnus”. Pertanto, il toponimo stava a segnalare la presenza di un ontaneto. – Voc. S. Adriano, dalla chiesa omonima, esistente almeno dal XIII° sec. Il semplice beneficio di S. Adriano è citato nei verbali delle visite pastorali del 1573, 1592, e 1596, e si desume che la chiesa era sprovvista di porta e di altare e “piena di sassi ed immondizie, che sembrava ridotta a stalla”. Talora il toponimo viene indicato come voc. Capocroce, per la presenza in loco di un crocicchio. E’ da sottolineare che il comune di Terni con “un ardito e sacrilego (!) intervento chirurgico” ha reso “transessuale” il toponimo, che negli atti ufficiali ha il nome di S. Adriana. Sui ruderi della chiesa è stata edificata, alcuni decenni orsono, una civile abitazione (con buona pace della tutela dei beni culturali!) – Voc. Cesasindolo o Valleto del Ficarone, dal latino “caesa”, “tagliata” e dall’antroponimo Sindolo/i.

E’ detto anche Valleto del Ficarone, in quanto si tratta di un terreno a valle della fonte e attraversato dal fosso del Ficarone. Il primo nome rinvia ad un intervento di disboscamento o di recinzione con siepi, forse sulla proprietà della famiglia Sindoli di Miranda. Nei catasti ha grafia travagliata per l’assimilazione di nt in nd, e nd in nn. In questo vocabolo vi era una proprietà del convento francescano con una fornace per calce. – Voc. Valle Spoletina, il toponimo si riferisce ad un fondo con case rurali, oggi disabitate, sito nella valle posta presso la strada Romana, che conduceva a Spoleto, o in senso inverso a Roma, passando per Rieti. Due case rurali di proprietà delle famiglie Fabrizi e Palmari sono censite nel catasto del 1658. – Voc. Carnaro, dal latino “carnarium”, “cimitero o fossa comune”.

Il toponimo è anche indicato come voc. Carnale. Designa un sito tra Colle Piciocchi e Colle Margarita ove si presume che in età medievale fosse ubicato il cimitero della corte di Cerione. – Voc. Colle Piciocchi, antroponimo riferibile alla famiglia Piciocchi o Piciocchio di Miranda. Nel catasto del 1859 è erroneamente registrato come colle Picchiocchio o Picchio. Nel catasto del 1658 è censita una casa rurale con ara di proprietà di Fabrizio Fabrizi. – Voc. Colle Margarita, antroponimo da riferire a Margarita Fabrizi in Palmari. Nel catasto del 1677 è censita una casa rurale, con terra lavorativa, alberata, vitata ed olivata di proprietà di Margarita Fabrizi, ereditata dal nonno Bastiano Fabrizi. – Voc. Cerione, forse dal latino “acerus”, “acero”. In questo vocabolo era ubicata una corte, richiamata nella donazione fatta da Bernardo degli Arroni a favore dell’abazia di Farfa, nel 1028.

E’ comunemente detto voc. “Cirione”. – Colle Panetta, antroponimo, riconducibile alla famiglia Panetta, originaria di Castel di Lago. I Panetta avevano beni in questa località, prima del 1701, come si evince dal testamento redatto da don Matteo Palmari. – Strada di Colle Panetta, via di campagna che da colle Panetta conduceva a voc. Cerione. – Strada dei Muli, mulattiera che tagliava voc. Cerione e conduceva a colle Margarita. – Voc. l’Osteria, dal latino medievale “hostaria”. Il toponimo si riferisce all’antica osteria, presso ponte Catenaccio. Nei pressi è ubicata la chiesa rurale dei conti Pianciani e Farrattini, edificata poco prima del 1748 e che stava sotto “il titolo e l’invocazione di S. Francesco da Paola e della Madonna di Loreto”. Sull’unico altare vi era dipinta l’immagine dei santi titolari, insieme a quella di S. Antonio da Padova.

L’edificio, già adibito a stalla, è attualmente inutilizzato. L’osteria vecchia, con aia, orto, terra e peschiera era censita nel catasto del 1611 tra le proprietà dei Poiani-Farrattini. Successivamente, proprietà indivisa con i Pianciani, era ceduta in affitto insieme alla gabella. Nel catasto del 1658 si attesta una casa rurale di proprietà di Serafino Pasquetti. – Voc. la Mola o il Molino, dal latino “mola”. Il toponimo deriva dalla presenza di una mola o mulino da grano. L’edificio è stato trasformato in una residenza estiva. Nel catasto del 1658 la proprietà è indivisa tra i signori Bagni ed i conti Farrattini, entrambi eredi dei beni della casa Poiani.

In questa zona è stato rinvenuto materiale preistorico. – Voc. la Forma della Mola, fosso che scendeva dal Colle del Forcone attraversando Valle Spoletina, dove raccoglieva le acque della Fonte di Freno o di Colle S. Angelo, quindi raggiungeva la Mola. In questo luogo vi era il punto di confluenza con un altro fosso, a monte, detto di Bonacquisto. Quest’ultimo, allorchè entrava nel territorio di Piediluco, con la sua energia idraulica muoveva le macine del mulino, quindi sfociava nel lago, nel braccio detto dell’Ara Marina. Da alcuni decenni, l’alveo del fosso di Buonacquisto, nel tratto di pertinenza del territorio di Piediluco, è stato sciaguratamente interrato. Sicchè, ogni qualvolta vi è un temporale, le acque del fosso vanno a confluire in quelle della “forma” di Mannocco, causando periodiche inondazioni dei terreni coltivati e del camping. – Strada della Mola, che dalla Mola conduce alla strada dell’Agnese, oggi dell’Ara Marina. – Ponte del Catenaccio, è il ponte che sta sul confine tra il comune di Labro ed il territorio di Piediluco.

Rinvia ad una postazione di controllo del transito di uomini e merci. L’ufficio della gabella si trovava nella vicina osteria. – Voc. Agnese, il toponimo ricorda che in quel luogo sorgeva il borgo medievale di Agnese, del quale sono sepolte nel terreno le tracce materiali. Nello Statuto si cita la torre di Agnese. – Voc. il Lèmite delle lenze, dal latino “limes”, “confine” e lintea, “appezzamento agricolo della misura di una lenza o di forma allungata”. Nel caso specifico si tratta della fascia di confine tra voc. Agnese ed il comune di Labro. – Voc. Forma di Mannocco. Il torrente è chiamato rio Fuscello, nel Lazio. Prende nome dal monte Fuscello, che si trova presso Leonessa, e che era chiamato dai Romani “Fiscellus”. Nei catasti del comune di Piediluco e dai nativi è chiamato “forma” di Mannocco”, dal latino volgare “manuculus”, “fascio di canapa o di legna minuta legata con vimini o più propriamente covone”. In questo caso si fa riferimento ai covoni, che venivano confezionati nell’aia di Marino. – Voc. Collagnano, dal latino collis “agnanus”, che si ricollega a voc. Agnese. In questo vocabolo è stato rinvenuto materiale preistorico. Nel catasto del 1834 è censita una casa rurale dei conti Pianciani. – Voc. l’Ara Marina, dal latino “area “e dall’antroponimo Marino. “Ara Marini”: “aia di Marino”, presente nel catasto del 1658 e successivi. Il prospiciente braccio di lago è comunemente detto dell'”Ara Marina”; nei catasti è censito come lago di Agnese. – Voc. la Fontanella di Madalena, antroponimo, “piccolo fosso di Madalena”, presente nel catasto del 1658, ed in seguito indicato come voc.la Fontanella/e. Il vocabolo confina con il lago e l’Ara Marina. Sul lungo lago vi era la strada comunale che si ricongiungeva con la strada della Mola. – Voc. Pantano o Pantana, da un tema mediterraneo “palta”, “fango”.

In questa località è in corso di completamento la costruzione di una piscina olimpionica. – I Quattro Quadri di Fontevecchia, dal latino “quadrus “e “quadratus”, “unità di misura di superficie”. Il toponimo compare nei catasti solo due volte e si riferisce ad un terreno ricompreso nel voc. Fonte Vecchia e prossimo alle rive del lago. – Voc. Fonte Vecchia, dal latino “fons vetula “o “vecla”; nei pressi del fosso si è rilevato un insediamento preistorico. – Il Campo di S. Stefano, il toponimo si riferisce ad un piccolo fondo di proprietà della chiesa, ormai scomparsa, di S. Stefano. – Il Vicolello o Vicoletto, diminutivo dal latino “viculus”. Indica una piccola strada che da Fonte Vecchia conduce a voc. S. Martino. – Voc. S. Martino, dal latino sanctus “Martinus”. Fino a pochi anni orsono era visibile un casale detto di S. Martino, poi demolito per dar luogo ad una lottizzazione. Nel catasto del 1748 è censita una piccola casetta, con un pezzo di terra alberato e vitato, diviso dalla forma detta “la Campetta”, di proprietà di Gio. Battista Penteriani. Voc. li Tesi, probabile fitonimo, dal latino “thesium”, “erbe perenni o annue di luoghi aridi o sassosi”. – Voc. Colle Miccinillo, diminutivo dal latino “mica”, “briciola”, incrociato con il termine piccino e pertanto sta per Colle Piccolino. Nei catasti è registrato anche come voc. Colle Piccinillo o Piccinino. E’ presente nello Statuto nella forma di “Colle Miccianillo”. – Voc. Colle Tanie, dal latino “collis litaniae”, “Colle della Litanìa”.

Nello Statuto lo si riconosce per il colle dove si conducono le processioni liturgiche. Infatti, l’oronimo è indicato nei catasti anche come Colle Litanìe. – Voc. la Casetta, dal latino “casa”, piccola casa rurale o stalla sul monte della Rocca, con terra lavorativa, alberata e vitata. Nel catasto del 1677 è censita tra le proprietà di Caterina Cioffi in Rossi. – Voc. Pisciarello, dalla voce onomatopeica pS. .pS. . che segnala una piccola sorgente o un rigagnolo d’acqua. Nel catasto del 1658 sono censite due case rurali con terra pergolata, olivata e lavorativa: una, con annessa ara, di proprietà di Francesco ed Antonio Pasquetti, e l’altra di proprietà delle Moniche, eredi di Ovidio Cioffi. – Voc. S. Lucia, il toponimo prende nome dalla piccola chiesa di S. Lucia, risalente al XIV° sec. ed ora distrutta. Sulla cappella, chiamata comunemente “Maestà di S. Lucia”, vi esercitarono lo juspatronato nel corso del XVIII° e XIX° sec. le famiglie Palmari e Sassi. Sulla parete vi erano affrescate le immagini di S. Lucia, S. Apollonia e S. Caterina v.m. – Voc. Porta di Porto Piano, dal latino “Porta Portus Plani”.

Il toponimo si riferisce sia alla fascia costiera pianeggiante fuori della porta, detta nei catasti recenti Reatina, sia all’unico approdo in luogo piano, in quanto il lungolago era cinto, come oggi, da muraglie di difesa degli orti. La Porta è citata nello Statuto. A monte vi era la chiesa della Madonna della Porta, della quale, nel verbale della visita pastorale del 1573, si legge che: “Nell’oratorio di S. Maria della Porta sono solite accadere cose di tal natura, a causa di certi miracoli, che è bene guardarsi da alcunchè di superstizioso, che va contro le norme del concilio di Trento”. La chiesa continuò ad essere oggetto di particolare devozione. Da una relazione dell’arciprete d. Flavio Crisostomi sappiamo che nel 1727 vi erano conservati “124 voti o vogliam dire miracoli in tavolette”. L’edificio era lungo canne 7 e largo 3. Le pareti erano completamente affrescate con immagini di Maria e del bambino, di S. Egidio, di S. Rocco, di S. Stefano, di S. Vito, di S. Lucia, di S. Andrea, di S. Michele Arcangelo, di S. Pietro e Paolo, ecc. Nel catasto del 1658 è censita una casa rurale, presso la Porta, con annessa terra lavorativa, arborata ed olivata, di proprietà di Gio. Battista Corradi.

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